Quaderno I (XVI) § (101) Piedigrotta
In un articolo sul «Lavoro» (8 settembre 1929) Adriano Tigher scrive che la poesia dialettale napoletana e quindi in gran parte la fortuna delle canzoni di Piedigrotta è in fiera crisi. Se ne sarebbero essiccale le due grandi fonti: realismo e sentimentalismo. «Il mutamento di sentimenti e di gusti è stato così rapido e sconvolgente, così vorticoso e subitaneo, ed è ancora così lontano dall’essersi cristallizzato in qualcosa di stabile e di duraturo che i poeti dialettali che si avventurano su quelle sabbie mobili per tentare di portarle alla durezza e alla chiarezza della forma sono condannati a sparirvi dentro senza rimedio.
La crisi di Piedigrotta è veramente un segno dei tempi. La teorizzazione di Strapaese ha ucciso strapaese (in realtà si voleva fissare un figurino tendenzioso di strapaese assai ammuffito e scimunito). E poi l’epoca moderna non è espansiva, è repressiva. Non si ride più di cuore; si sogghigna e si fa dell’arguzia meccanica tipo Campanile. La fonte di Piedigrotta non si è essiccata, è stata essiccata perché era diventata «ufficiale» e i canzonieri erano diventati funzionari (vedi Libero Bovio) (e cfr l’apologo francese del becco funzionario).