Quaderno I (XVI) § (14) Fortunato Rizzi ossia dell’italiano meschino
Louis Reynaud, che deve essere un discepolo di Maurras, ha scritto un libro: Le Romantisme (Les origines anglo-germaniques, Influences étrangères et traditions nationales. Le réveil du génie français), Parigi, Colin, per esporre diffusamente e dimostrare una tesi propria del nazionalismo integrale: che il romanticismo è contrario al genio francese ed è un’importazione straniera, germanica e anglo-tedesca. In questa proposizione, per Maurras e indubbiamente anche per il Reynaud, l’Italia è e deve essere con la Francia, e anzi in generale le nazioni cattoliche, il cattolicismo, sono solidali contro le nazioni protestanti, il latinismo contro il germanesimo. Il romanticismo è una infezione di origine germanica, infezione per la latinità, per la Francia, che ne è stata la grande vittima: nei suoi paesi originari, Inghilterra e Germania, il romanticismo sarà o è stato senza conseguenze, ma in Francia esso è diventato lo spirito delle rivoluzioni successive dal 1789 in poi, ha distrutto o devastato la tradizione, ecc. ecc.
Ora ecco come il prof. Fortunato Rizzi, autore di un libro a quanto pare mediocrissimo (non fa maraviglia, a giudicare dal modo come egli tratta le correnti di pensiero e di sentimenti) sul 500 vede il libro del Reynaud in un articolo (Il Romanticismo francese e l’Italia) pubblicato nei «Libri del giorno» del giugno 1929. Il Rizzi ignora l’«antefatto», ignora che il libro del Reynaud è più politico che letterario, ignora le proposizioni del nazionalismo integrale di Maurras nel campo della cultura e va a cercare con la sua lucernina di meschino italiano le tracce dell’Italia nel libro. Perbacco! L’Italia non c’è, l’Italia dunque è negletta, è misconosciuta! «E’ veramente singolare il silenzio quasi assoluto per quanto si riferisce all’Italia. Si direbbe che per lui (il Reynaud) l’Italia non esista né sia mai esistita: eppure se la deve esser trovata innanzi agli occhi in ogni momento». Il Reynaud ricorda che il 600 nella civiltà europea è francese. E il Rizzi: «Ci voleva proprio uno sforzo eroico a notare, almeno di passaggio, di quanto la Francia del 600 sua debitrice all’Italia del 500? Ma l’Italia non esiste per i nostri buoni fratelli d’oltralpe». Che malinconia!
Il Reynaud scrive: «les anglais, puis les allemands, nous communiquent leur superstition de l’antique». E il Rizzi: «Oh guarda donde viene alla Francia l’adorazone degli antichi! Dall’Inghilterra e dalla Germania! E il Rinascimento italiano con la sua maravigliosa potenza di diffusione in Europa e, sì proprio, anche in Francia? Cancellato dalla storia…». Altri esempi sono altrettanto divertenti. «Ostentata o inconscia indifferenza o ignoranza nei riguardi dell’Italia» che, secondo Rizzi, non aggiunge valore all’opera ma anzi «per certi rispetti la attenua grandemente e sminuisce». Conclusione: «ma noi che siamo i figli primogeniti o, meglio (secondo il pensiero del Balbo) unigeniti di Roma, noi siamo dei signori di razza e non facciamo le piccole vendette ecc. ecc.» e quindi riconosce che l’opera del Reynaud è ordinata, acuta, dotta, lucidissima ecc. ecc.
Ridere o piangere. Ricordo questo episodio: parlando di un Tizio, un articolista ricordava che un antenato dell’eroe era ricordato da Dante nella Divina Commedia, «questo libro d’oro della nobiltà italiana». Era ricordato infatti, ma in una bolgia dell’Inferno: non importa per l’italiano meschino, che non si accorge, per la sua mania di grandezza da nobiluomo decaduto che il Reynaud, non parlando dell’Italia nel suo libro, le ha voluto fare il più grande omaggio, dal suo punto di vista. Ma al Rizzi importa che il Manzoni sia stato solo ricordato in una noterella a piè di pagina!