Quaderno I (XVI) § (61) Americanismo
L’americanismo può essere una fase intermedia dell’attuale crisi storica? La concentrazione plutocratica può determinare una nuova fase dell’industrialismo europeo sul modello dell’industria americana? Il tentativo probabilmente sarà fatto (razionalizzazione, sistema Bedaux, taylorismo ecc.). Ma può riuscire= L’Europa reagisce, contrapponendo alla «vergine» America le sue tradizioni di cultura. Questa reazione è interessante non perché una così detta tradizione di cultura possa impedire una rivoluzione nell’organizzazione industriale, ma perché essa è la reazione della «situazione» europea alla «situ99azione» americana. In realtà, l’americanismo, nella sua forma più compiuta, domanda una condizione preliminare: «la razionalizzazione della popolazione», cioè che non esistano classi numerose senza una funzione nel mondo della produzione, cioè classi assolutamente parassitarie. La «tradizione» europea è proprio invece caratterizzata dall’esistenza di queste classi, create da questi elementi sociali: l’amministrazione statale, il clero e gli intellettuali, la proprietà terriera, il commercio. Questi elementi, quanto più vecchia è la storia di un paese, tanto più hanno lasciato durante i secoli delle sedimentazioni di gente fannullona, che vive della «pensione» lasciata dagli «avi». Una statistica di questi elementi sociali è difficilissima, perché molto difficile è trovare la «voce» che li possa abbracciare. L’esistenza di determinate forme di vita dà degli indizi. Il numero rilevante di grandi e medi agglomerati urbani senza industria è uno di questi indizi, forse il più importante. Il così detto «mistero di Napoli». Ricordare le osservazioni fatte fa Goethe su Napoli e le «consolanti» conclusioni di Giustino Fortunato (opuscolo pubblicato recentemente dalla «Biblioteca editrice» di Rieti nella collana «Quaderni critici» di Domenico Petrini; recensione di Einaudi nella «Riforma sociale» dello scritto del Fortunato quando uscì la prima volta, forse nel 1912).
Goethe aveva ragione nel rigettare la leggenda del «lazzaronismo» organico dei napoletani e nel notare che essi invece sono molto attivi e industriosi. La quistione consiste però nel vedere quale risultato effettivo abbia questa industriosità: essa non è produttiva, e non è rivolta a soddisfare le esigenze di classi produttive. Napoli è una città dove i proprietari terrieri del Mezzogiorno spendono la rendita agraria: intorno a decine di migliaia di queste famiglie di proprietari, di più o meno importanza economica, con la loro corte di servi e di lacchè immediati, si costituisce una buona parte della città, con le sue industrie artigianesche, i suoi mestieri ambulanti, lo sminuzzamento incredibile dell’offerta immediata di merci o servizi agli sfaccendati che circolano nelle strade. Un’altra parte importante è costituita dal commercio all’ingrosso e dal transito. L’industria «produttiva» è una parte relativamente piccola. Questa struttura di Napoli (sarebbe molto utile avere dei dati precisi) spiega molta parte della storia di Napoli città.
Il fatto di Napoli si ripete per Palermo e per tutta una serie di città medie e anche piccole, non solo del Mezzogiorno e delle isole, ma anche dell’Italia centrale (Toscana, Umbria, Roma) e persino di quella settentrionale (Bologna, in parte, Parma, Ferrara ecc.). (Quando un cavallo caca, centro passeri fanno il pasto).
Media e piccola proprietà terriera in mano non a contadini coltivatori, ma a borghesi della cittaduzza o del borgo che la danno a mezzadria primitiva (cioè affitto in natura) o in enfiteusi. Questo volume enorme di piccola o media borghesia di «pensionati» e «redditieri» ha creato nella letteratura economica italiana la figura mostruosa del «produttore di risparmio» così detto, cioè di una classe numerosa di «usurai» che dal lavoro primitivo di un numero determinato di contadini trae non solo il proprio sostentamento, ma ancora riesce a risparmiare.
Le pensioni di Stato: uomini relativamente giovani e ben portanti che dopo 25 anni di impiego statale (qualche volta a 45 anni e con buonissima salute) non fanno più nulla, ma vivacchiano con le 500-600-700 lire di pensione. In una famiglia si fa un prete che diventa canonico: il lavoro manuale diventa «vergognoso». Tutt’al più il commercio. La composizione della popolazione italiana è stata già resa «malsana» dall’emigrazione e dalla scarsa occupazione delle donne nei lavori produttivi. Il rapporto tra popolazione «potenzialmente» attiva e quella passiva è uno dei più sfavorevoli (vedere studio del Mortara nelle Prospettive economiche del 1922 e forse ricerche successive): esso è ancora più sfavorevole se si tiene conto: 1) delle malattie endemiche (malaria ecc.) che diminuiscono la forza produttiva; 2) della denutrizione cronica di molti stati inferiori contadineschi (come risulta dalle ricerche di Mario Camis nella «Riforma Sociale» deò 1926 – primo o secondo fascicolo -, le cui medie nazionali dovrebbero essere scomposte per medie di classi; ma la media nazionale raggiunge appena lo standard fissato dalla scienza e quindi è ovvia la conclusione di una denutrizione cronica di certi strati. Nella discussione al Senato del bilancio preventivo per le finanze del 1929-30 l’on. Mussolini riconobbe che in alcune regioni la popolazione vive intere stagioni di sole erbe: vedere); 3) della disoccupazione endemica di alcune regioni agrarie che non risulta dai censimenti; 4) di questa massa di popolazione assolutamente parassitaria (notevolissima), che per i suoi servizi domanda l’occupazione di altra ingente popolazione; e di quella semiparassitaria, che cioè moltiplica in modo anormale (dato un certo tipo di società) determinate attività, come il commercio.
Questa situazione non si presenta solo in Italia; in misura notevole si presenta in tutta Europa, più in quella meridionale, sempre meno verso Nord. (In India e Cina deve essere ancor più anormale che in Italia e ciò spiega il ristagno della storia).
L’America senza «tradizione», ma anche senza questa cappa di piombo: questa una delle ragioni della formidabile accumulazione di capitali, nonostante i salari relativamente migliori di quelli europei. La non esistenza di queste sedimentazioni vischiose delle fasi storiche passate ha permesso una base sana all’industria e specialmente al commercio e permette sempre più la riduzione dei trasporti e del commercio a una reale attività subalterna della produzione, coll’assorbimento di questa attività da parte dell’industria stessa (vedi Ford e quali «risparmi» abbia fatto sui trasporti e sul commercio assorbendoli). Questa «razionalizzazione» preliminare delle condizioni generali della produzione, già esistente o facilitata dalla storia. ha permesso di razionalizzare la produzione, combinando la forza (- distruzione del sindacalismo -) con la persuasione (- salari e altri benefizi -); per collocare tutta la vita del paese sulla base dell’industria. L’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno di tanti intermediari politici e ideologici. Le «masse» di Romier sono l’espressione di questo nuovo tipo di società, in cui la «struttura» domina più immediatamente le soprastrutture e queste sono razionalizzate (semplificate e diminuite di numero). Rotary Club e Massoneria (il Rotary è una massoneria senza i piccoli borghesi). Rotary – America – Massoneria – Europa. YMCA – America = Gesuiti – Europa.
Tentativi dell’YMCA in Italia: episodio Agnelli – tentativi di Agnelli verso l’«Ordine Nuovo» che sosteneva un suo «americanismo». In America c’è l’elaborazione forzata di un nuovo tipo umano: ma la fase è solo iniziale e perciò (apparentemente) idillica. È ancora la fase dell’adattamento psico-fisico alla nuova struttura industriale, non si è verificata ancora (se non sporadicamente, forse) alcuna fioritura «superstrutturale», quindi non è ancora stata posta la quistione fondamentale dell’egemonia: la lotta avviene con armi prese dall’arsenale europeo e ancora imbastardito, quindi appaiono e sono «reazionarie».
La lotta che c’è stata in America (descritta dal Philip) è ancora per la proprietà del mestiere, contro la «libertà industriale», cioè come quella che si è avuta in Europa nel secolo XVIII, sebbene in altre condizioni. L’assenza della fase europea segnata come tipo dalla Rivoluzione francese, in America, ha lasciato gli operai ancora grezzi.
In Italia abbiamo avuto un inizio di fanfara fordistica (esaltazione della grande città – la grande Milano ecc. – il capitalismo è ancora ai suoi inizi ecc., con messa in programma di piani urbanistici grandiosi: vedi «Riforma Sociale» – articoli di Schiavi).
Conversione al ruralismo e all’illuministica depressione delle città: esaltazione dell’artigianato e del patriarcalismo, accenni di «proprietà del mestiere» e di lotta contro la «libertà industriale» (vedi accenno fatto criticamente da U. Ricci in lettera ai «Nuovi Studi»): in ogni caso non «mentalità» americanistica.
Il libro del De Man è legato a questa quistione. È una reazione alle due forze storiche maggiori del mondo.