Quaderno I (XVI) § (80) Il pubblico e la letteratura italiana
«Per una ragione o per l’altra si può dire che gli scrittori italiani non abbiano più pubblico. (…) Un pubblico infatti vuol dire un insieme di persone, non soltanto che compra dei libri, ma soprattutto che ammira degli uomini. Una letteratura non può fiorire che in un clima d’ammirazione e l’ammirazione non è come si potrebbe credere, il compenso, ma lo stimolo del lavoro. (…) Il pubblico che ammira, che ammira davvero, di cuore, con gioia, il pubblico che ha la felicità di ammirare (niente è più deleterio dell’ammirazione convenzionale) è il più grande animatore di una letteratura. Da molti segni si capisce ahimè che il pubblico sta abbandonando gli scrittori italiani». Leo Ferrero nel «Lavoro» («Fiera Letteraria» del 28 ottobre 1928).
L’ammirazione sarebbe la forma del contatto tra la nazione e i suoi scrittori. Oggi manca questo contatto, cioè la letteratura non è nazionale, perché non è popolare. Paradosso del tempo attuale. E non c’è gerarchia nella letteratura, cioè manca ogni personalità eminente. Quistione del perché e di come una letteratura sia popolare. La «bellezza» non basta: ci vuole un contenuto «umano e morale» che sia l’espressione elaborata e compiuta delle aspirazioni del pubblico. Cioè la letteratura deve essere insieme elemento attuale di cultura (civiltà) e opera d’arte (bellezza). Altrimenti alla letteratura d’arte viene preferita la letteratura d’appendice, che, a modo suo, è un elemento di cultura, degradata se si vuole, ma attuale.