La così detta «quistione della lingua»

Quaderno 29 (XXI) § (7)

Pare chiaro che il De Vulgari Eloquio di Dante sia da considerare come essenzialmente un atto di politica culturale-nazionale (nel senso che nazionale aveva in quel tempo e in Dante), come un aspetto della lotta politica è stata sempre quella che viene chiamata «la quistione della lingua» che da questo punto di vista diventa interessante studiare. Essa è stata una reazione degli intellettuali allo sfacelo dell’unità politica che esisté in Italia sotto il nome di «equilibrio degli Stati italiani», allo sfacelo e alla disintegrazione delle classi economiche e politiche che si erano venute formando dopo il Mille coi Comuni e rappresenta il tentativo, che in parte notevole può dirsi riuscito, di conservare e anzi di rafforzare un ceto intellettuale unitario, la cui esistenza doveva avere non piccolo significato nel Settecento e Ottocento (nel Risorgimento). Il libretto di Dante ha anch’esso non piccolo significato per il tempo in cui fu scritto; non solo di fatto, ma elevando il fatto a teoria, gli intellettuali italiani del periodo più rigoglioso dei Comuni, «rompono» col latino e giustificano il volgare, esaltandolo contro il «mandarinismo» latineggiante, nello stesso tempo in cui il volgare ha così grandi manifestazioni artistiche. Che il tentativo di Dante abbia avuto enorme importanza innovatrice, si vede più tardi col ritorno del latino a lingua delle persone colte (e qui può innestarsi la quistione del doppio aspetto dell’Umanesimo e del Rinascimento, che furono essenzialmente reazionari dal punto di vista nazionale-popolare e progressivi come espressione dello sviluppo culturale dei gruppi intellettuali italiani e europei).

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