Nozioni enciclopediche e argomenti di cultura § (125)

Può essere questo il titolo generale della rubrica in cui raccogliere tutti gli spunti e motivi annotati finora, talvolta sotto titoli vari. Spunti per un dizionario di politica e critica, nozioni enciclopediche propriamente dette, motivi di vita morale, argomenti di cultura, apologhi filosofici ecc.

  1. Ultra. Nomi diversi dati in Francia e in Germania ai cattolici, favorevoli a una influenza del papato nei loro rispettivi paesi, ciò che significa poi in gran parte: che lottavano per accrescere la loro forza di partito con l’aiuto di una potenza straniera (non solo «spirituale e culturale», ma anche temporale – e come! – perché avrebbe voluto prelevare imposte, decime, ecc. e dirigere la politica internazionale). Era una forma di certi tempi di «partito dello straniero» [opposto a «gallicano» in Francia].
  2. Artigiano. Artigianato. Da un articolo di Ugo Ojetti (Arti e artigiani d’Italia, nel «Corriere» del 10 aprile 1932) tolgo alcuni spunti: per la legge italiana è artigiano chi non occupa più di cinque lavoranti se esercita un mestiere d’arte, più di tre se esercita un mestiere usuale. Definizione imprecisa. «Il proprio dell’artigiano è di lavorare egli stesso con le sue mani all’arte sua o al suo mestiere. Che da lui dipendano cinque o dieci persone, ciò non muta il suo carattere d’artigiano, quello che subito lo distingue dall’industriale». Ma anche questa definizione è imprecisa, perché l’artigiano può non lavorare, ma dirigere il lavoro di una bottega: la definizione deve essere cercata nel modo di produzione e di lavoro.
    In Germania esiste la patente di mestiere, che ha tre gradi come il mestiere: dell’apprendista «che noi diremmo meglio garzone o novizio», del «compagno» che ha finito il tirocinio di garzone, del «maestro».
    L’Ojetti impiega la parola «compagno» per indicare il lavorante artigiano già formato professionalmente, ma questa parola come si giustifica? Non storicamente, perché in italiano non è rimasto l’uso come in francese e tedesco di una parola che [un tempo] aveva un significato giuridico preciso, e oggi non ha significato «professionale» ma solo di posizione «economica». Professionalmente il «compagno» è un «maestro», ma non ha la proprietà di una bottega e deve lavorare per un altro che sia appunto proprietario.
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Fase economico-corporativa nella storia italiana. L’impresa di Lepanto § (124)

A Salimei, Gli italiani a Lepanto (Roma, auspice la Lega navale). Il Salimei ha raccolto diligentemente tutti i dati che si riferiscono alla organizzazione delle forze che parteciparono all’impresa di Lepanto e ha dimostrato che esse, dalle navi agli uomini, furono in maggioranza italiane. Negli archivi vaticani esistono i documenti coi conti per la ripartizione delle spese tra il re di Spagna e la repubblica di Venezia per la lega cristiana del 1571, rimessi al successore di Pio V perché decidesse sulle controversie insorte nello stabilire l’ammontare del rispettivo credito e debito. Con tali documenti è possibile precisare il numero e il nome delle galee, delle navi, delle fregate ecc. e il numero dei reggimenti e delle rispettive compagnie con i nomi dei colonnelli e dei capitani tanto per la flotta e le fanterie che si trovarono alla battaglia di Lepanto, quanto per quelle che non vi si trovarono ma furono egualmente mobilitate per la spedizione nello stesso anno 1571.

Delle più che duecento navi partecipanti alla battaglia solo 14 erano spagnole, tutte le altre erano italiane; dei 34 mila armati solo 5000 fanti «venero dalla Spagna», e 6000 erano tedeschi (ma 1000 di questi non parteciparono al combattimento), tutti gli altri erano di «nazionalità» italiana. Dall’elenco degli «ufficiali, venturieri e militi» distinti secondo le nazionalità e, «per quanto riguarda l’Italia» anche secondo le regioni e le città di origine il Salimei deduce che non c’è parte della penisola e delle isole, dalle Alpi alla Calabria, compresa la Dalmazia e le isole di dominio veneto, dalla Sicilia alla Sardegna alla Corsica a Malta, che non vi partecipi. Questa ricerca è molto interessante e potrebbe essere analizzata opportunamente. Il Salimei la inquadra in una cornice retorica, perché si serve di concetti moderni per fatti non omogenei. Rivendica il carattere «nazionale» di Lepanto, che è attribuito di solito alla cristianità (cioè al Papa) con prevalenza alla Spagna e afferma che a Lepanto per l’ultima volta gli italiani, anzi tutti gli italiani, «combatterono per una causa che non fosse quella degli stranieri» e che «con Lepanto si chiude l’era della nostra efficienza navale e militare come popolo italiano, fino al 1848». Sarebbe da vedere, a questo proposito, perché nacquero le controversie tra Venezia e Spagna per dividersi le spese, e sotto quali bandiere erano arruolati i soldati che avevano origine da paesi italiani.

Sulla lega di Lepanto cfr: A. Dragonetti De Torres, La lega di Lepanto nel carteggio diplomatico di don Luys de Torres nunzio straordinario di SS. Pio V a Filippo II, Torino, Bocca, 1931. Dalla preparazione diplomatica della Lega dovrebbe apparire più concretamente il carattere dell’impresa.

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Passato e presente. Bilancio della guerra § (123)

Camillo Pellizzi annunzia nel «Corriere della Sera» del 7 aprile 1932 il libro di Luigi Villati The war on the Italian Front (Londra, Cobden.Sanderson, 1932, con prefazione di sir Rennell Rodd). In un’appendice sono pubblicate le cifre sul bilancio comparativo della guerra, e il Pellizzi riproduce le seguenti: l’Italia ha mobilitato il 14,48% della sua popolazione, la Francia il 20,08, l’Inghilterra il 12,31; l’Italia ha avuto il 14% di morti sul numero dei mobilitati, la Francia il 16,15, l’Inghilterra l’11,05; l’Italia ha speso nella guerra oltre un quarto della sua ricchezza totale, la Francia meno di un sesto; l’Italia ha perso il 58,93% del suo tonnellaggio mercantile, la Gran Bretagna il 43,63, la Francia il 39,44.

Occorrerebbe vedere come queste cifre sono ottenute e se si tratta di quantità omogenee. Le cifre percentuali della mobilitazione possono essere rese non esatte dal fatto che si calcolano tutti i mobilitati di vari anni e si fa la percentuale sulla popolazione di un anno dato. Così per il tonnellaggio occorrerebbe sapere l’età delle navi perdute, perché è noto che alcuni paesi tengono in servizio le navi più di altri, onde il maggior numero di disastri anche in tempo di pace. Il calcolo della ricchezza di un paese varia sensibilmente a seconda dell’onestà fiscale nel denunziare i redditi, e questa onestà non è mai abbondante.

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Letteratura popolare § (122)

Uno degli atteggiamenti più caratteristici del pubblico popolare verso la sua letteratura è questo: non importa il nome e la personalità dell’autore, ma la personalità del protagonista. Gli eroi della letteratura popolare, quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, si staccano dalla loro origine «letteraria» e acquistano la validità del personaggio storico. Tutta la loro vita interessa, dalla nascita alla morte, e ciò spiega la fortuna delle «continuazioni», anche se artefatte: cioè può avvenire che il primo creatore del tipo, nel suo lavoro, faccia morire l’eroe e il «continuatore» lo faccia rivivere, con grande soddisfazione del pubblico che si appassiona nuovamente, e rinnova l’immagine prolungandola col nuovo materiale che gli è stato offerto. Non bisogna intendere «personaggio storico» in senso letterale, sebbene anche questo avvenga, che dei lettori popolari non sappiano più distinguere tra mondo effettuale della storia passata e mondo fantastico e discutano sui personaggi romanzeschi come farebbero su quelli che hanno vissuto , ma in un modo traslato, per comprendere che il mondo fantastico acquista nella vita intellettuale popolare una concretezza fiabesca particolare. Così avviene per esempio che avvengano delle contaminazioni tra romanzi diversi, perché i personaggi si rassomigliano: il raccontatore popolare unisce in un solo eroe le avventure dei vari eroi ed è persuaso che così debba essere fatto per essere «intelligenti».

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