Nozioni enciclopediche. Comandare e obbedire. § (45)

In che misura sua vero che l’obbedire sia più facile del comandare. Il comandare proprio del caporalismo. L’attendere passivamente gli ordini. Nell’obbedienza c’è un elemento di comando e nel comando un elemento di obbedienza (autocomando e autoobedienza). Il «perinde ac cadaver» dei gesuiti. Il carattere del comando e dell’obbedienza nell’ordine militare. Bisogna obbedire senza comprendere dove l’obbedienza conduce a che fine tende? Si obbedisce in questo senso, volentieri, cioè liberamente, quando si comprende che si tratta di forza maggiore: ma perché si sia convinti della forza maggiore occorre che esista collaborazione effettiva quando la forza maggiore non esiste.

Comandare per comandare è il caporalismo; ma si comanda perché un fine sia raggiunto, non solo per coprire le proprie responsabilità giuridiche: «io ho dato l’ordine: non sono responsabile se non è stato eseguito o se è stato eseguito male ecc.; responsabile è l’esecutore che ha mancato».

Il comando del direttore d’orchestra: accordo preventivo raggiunto, collaborazione, il comando è una funzione distinta, non gerarchicamente imposta.


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Massimario machiavellico. § (44)

Prendendo come spunto l’affermazione del Foscolo nei Sepolcri che il Machiavelli «temprando lo scettro ai regnatori, gli allor ne sfronda ed alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue» si potrebbe fare una raccolta di tutte le massime «universali» del Machiavelli e ordinarle commentandole e volgarizzandole opportunamente.


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Machiavelli § (43)

Oltre che dall’esempio delle grandi monarchie assolute di Francia e Spagna, il Machiavelli fu spinto alla sua concezione politica del principato unitario dal ricordo del passato romano, ma non astrattamente, bensì attraverso gli avvenimenti dell’Umanesimo e del Rinascimento: «questa provincia (l’Italia) pare nata per risuscitare le cose morte, come si è visto della poesia, della pittura e della scultura» scrive nell’Arte della guerra libro VII, perché dunque non ritroverebbe la virtù militare? ecc. Cercare se nel Machiavelli altri accenni del genere.


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Francia-Italia. § (42)

  1. È realmente mai esistita una francofilia in Italia? Ed erano realmente francofili i radicali-massoni del «Secolo», che appunto sono giudicati solitamente come spudoratamente francofili? Penso che, analizzando più profondamente, si può trovare che neanche quella corrente fu francofila in senso proprio. La Francia rappresentò un mito per la democrazia italiana, la trasfigurazione in un modello straniero di ciò che la democrazia italiana non era mai riuscita a fare e non si proponeva di fare concretamente, il senso della propria impotenza e inettitudine nell’ambito proprio nazionale. La Francia era la Rivoluzione francese, e non il regime attuale, era la partecipazione delle masse popolari alla vita politica e statale, era l’esistenza di forti correnti d’opinione, la sprovincializzazione dei partiti, il decoro dell’attività parlamentare ecc., cose che non esistevano in Italia, che si agognavano, ma per il cui raggiungimento non si sapeva e non si voleva far nulla di preciso, di coordinato, di continuativo: si mostrava al popolo italiano l’esemplare francese, quasi si aspettasse che il popolo italiano facesse da sé, cioè per iniziativa spontanea di massa, ciò che i francesi avevano raggiunto attraverso una serie di rivoluzioni e di guerre, a costo di torrenti di sangue. Ma non era francofilia nel senso tecnico e politico: anzi c’era, proprio in questi democratici, molta invidia per la Francia e un odio sordo. Francofili sono stati i moderati, che ritenevano un dovere della Francia aiutare sempre l’Italia come una pupilla e che si sarebbero subordinati alla politica francese: per disillusione si gettarono nelle braccia della Germania.

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