Dal libretto: A.F. Andryabe, Memorie di un prigioniero di Stato allo Spielberg, Capitoli scelti e annotati da Rosolino Guastalla, Firenze, Barbèra, 1916, tolgo alcune indicazioni bibliografiche su Federico Confalonieri: Rosolino Guastalla, Letteratura spielberghese in Le mie prigioni commentate, Livorno, Giusti, 1912; Giorgio Pallavicino, Spilbergo e Gradisca (1856), ristampato nelle Memorie (Loescher, 1882); Federico Confalonieri, Memorie e Lettere (Milano, Hoepli, 1890); Alessandro Luzio, Antonio Salvotti e i processi del Ventuno, ROma, 1901; Domenico Chiattone, commento alle Mei Prigioni del Pellico. I Mémoires dell’Andryane sono stati tradotti in italiano da F. Regonati (quattro volumi, 1861, Milano) corredati da documenti.
Posizione del Luzio contro Andryane, mentre giustifica il Salvotti (!); cfr altre osservazioni del Luzio e il carattere tendenzioso e acrimonioso dei suoi scritti sul Risorgimento. Cfr G. Trombadori, Il giudizio del De Sanctis sul Guicciardini nella «Nuova Italia» del 20 novembre 1931; scrive il Trombadori: «La legittima ammirazione che tutti tributiamo al Luzio per l’opera da lui svolta nel campo degli studi sul nostro Risorgimento, non deve essere scompagnata dalla conoscenza dei limiti entro cui è chiusa la sua visione della storia, che sono un moralismo piuttosto esclusivistico e quella mentalità così schiettamente giuridica (ma è esatto dire giuridica? o non è piuttosto “giudiziaria”?) che lo ha fatto impareggiabile indagatore di carte processuali ecc. ecc.» (vedi il testo in caso di bisogno). Ma non si tratta solo di temperamento, si tratta specialmente di tendenziosità politica. Il Luzio potrebbe chiamarsi il Cesare Cantù del moderatismo conservatore (cfr Croce su Cantù nella Storia della storiografia italiana nel secolo XIX). Continuo la citazione sul Luzio del Trombadori: «Sono due atteggiamenti che si integrano e si completano a vicenda, per cui qualche volta ti sembra che la sua portentosa perizia nel sottoporre all’analisi deposizioni e testimonianze e “costituti” abbia l’unico fine di liberare qualcuno dalla taccia di vigliacco o di traditore, o di ribadirgliela, di condannare, o di assolvere. Così avviene che raramente egli si sottragga al gusto di accompagnare ai nomi di uomini che nella storia ebbero la loro parte grande o piccola, aggettivi come: vile, generoso, nobile, indegno e via dicendo». Perciò il Luzio partecipò alla polemica che si svolse negli anni scorsi sul Guicciardini, contro il giudizio del De Sanctis, naturalmente per difendere il Guicciardini»; l’intervento del Luzio anche in questo caso non è un fatto di «temperamento» di studioso, ma un fatto politico tendenziale: in realtà l’«uomo del Guicciardini» è il rappresentante ideale del «moderato italiano» sia esso lombardo, toscano o piemontese tra il 1848 e il 1870 e del moderno clerico-moderato, di cui il Luzio è l’aspetto «istoriografico».
È da notare che il Croce non cita, neppure per incidenza, il nome del Luzio nella sua Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, edizione del 1921, sebbene una parte dell’opera del Luzio risalga agli anni precedenti il 1900: mi pare che ne parli però nell’appendice pubblicata recentemente nella «Critica» e incorporata poi nella nuova edizione del libro.