Conservazione e innovazione. § (27)

Una determinata corrente storicistica pone a suo fondamento e dichiara solo storicistico un metodo d’azione in cui il progresso storico (lo svolgimento) risulta dalla dialettica di conservazione e innovazione: il contemperamento di conservazione e innovazione costituisce il «classicismo nazionale» del Gioberti così come costituisce il classicismo letterario e artistico dell’ultima estetica crociana. È questo lo storicismo dei moderati, non tanto teoria scientifica quanto tendenza pratico-politica o ideologia. Ma perché conservazione deve esser proprio quella data «conservazione», quel dato elemento dialettico del passato? E perché si deve essere «irrazionalisti» e «antistoricisti» se non si conserva questo determinato elemento? In realtà, se è vero che il progresso è dialettica di conservazione e innovazione e l’innovazione conserva superando il passato, è anche vero che il passato è cosa complessa e che è dato scegliere in questa complessità: né la scelta può essere arbitrariamente fatta a priori da un individuo o da una corrente; se questa scelta è fissata in tal modo si tratta di «ideologia», di tendenza pratico-politica unilaterale, che non può dare fondamento a una scienza. Presentare questa scelta come «scienza» è appunto elemento ideologico, poiché ogni ideologia cerca di presentarsi come scienza, e come filosofia. Ciò che sarà conservato nel processo dialettico sarà determinato dal processo stesso, sarà un fatto necessario, non un arbitrio di così detti scienziati e filosofi. E intanto si osserva che la forza innovatrice, in quanto si è costruita nel passato, è essa stessa un fatto del passato, è appunto essa stessa conservazione-innovazione, contiene in sé l’intero passato, quello degno di svolgersi e perpetuarsi. Per questa specie di storicisti moderati (e si intende moderati in senso politico, di classe, cioè di quelle classi che operarono la restaurazione dopo il 1815 e il 1848) l’irrazionale è il giacobinismo, antistoria uguale giacobinismo. Ma chi potrà storicamente provare che solo l’arbitrio abbia guidato i giacobini? E non è proposizione storica banale che né Napoleone né la Restaurazione hanno distrutto i «fatti compiuti» dai giacobini? O forse l’antistoricismo dei giacobini sarà consistito in ciò che delle loro iniziative non si è «conservato» il 100%, ma solo una percentuale relativa? Non pare che ciò sia plausibile da sostenersi perché la storia non si fa con calcoli matematici e d’altronde nessuna forza storica innovatrice si realizza immediatamente al 100%, ma appunto è sempre razionale e irrazionale, storicistica e antistoricistica, è «vita» cioè, con tutte le debolezze e le forze della vita, con le sue contraddizioni e le sue antitesi.

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