Passato e presente. Avvenimenti del 1917. § (83)
Il ministero Salandra cade il 10 giugno 1916 [contraccolpo della dichiarazione di guerra alla Germania], mentre durava la minaccia dell’esercito austriaco dal Trentino. Boselli forma il ministero nazionale (vedere atteggiamento dei giolittiani a questo proposito). Il 12 giugno 1917 crisi del ministero: i ministri rimettono al Boseli i loro portafogli, per dargli la possibilità di organizzare meglio l’opera del governo. Contrasti in politica estera e in quella interna: Bissolati e gli altri osteggiavano la politica di Sonnino, cioè volevano che fossero precisati e mutati i fini della guerra, osteggiavano la politica militare del Cadorna (memoriale Douhet a Bissolati), osteggiavano la politica interna troppo liberale e indulgente verso gli avversari del governo (socialisti, giolittiani, cattolici). Cadorna a sua volta osteggiava la politica interna del governo ecc. È da notare che a Torino comincia a mancare il pane proprio nella seconda metà di giugno (cfr gli articoli della «Gazzetta del Popolo» pubblicati, ma occorrerebbe conoscere se già prima la «Gazzetta del Popolo» abbia voluto intervenire e ne sia stata impedita dalla censura, senza che nel giornale apparisse traccia di questi tentativi: forse nell’Archivio di Stato tracce più concrete. Cfr anche l’autodifesa del prefetto Verdinois, che però è scolorita e imprecisa). Il gabinetto Boselli cade il 16 ottobre 1917 alla vigilia di Caporetto.
(Poteva chiamarsi nazionale un governo da cui fosse assente Giolitti? Nel 17 appunto si hanno i frutti della politica Salandra-Sonnino, che vollero monopolizzare a sé e al loro partito la gloria dell’entrata in guerra e, non impedendo la caccia a Giolitti, determinarono il suo ulteriore atteggiamento).
I memoriali dell’allora colonnello Douhet sono pubblicati nel volume: Giulio Douhet, Le profezie di Cassandra, a cura del generale Gherardo Pàntano, Genova, Soc. Ed. Tirrena, 1931, in 8°, pp. 443. Su questo volume cfr la strabiliante recensione di Giacomo Devoto nel «Leonardo» del febbraio 1932. Il Devoto si domanda: «Ma perché poi critiche così fondate, venendo da un uomo di prim’ordine come era senza dubbio il Douhet, non hanno avuto il successo che in se stesse meritavano?» E risponde: «Non per la malvagità degli uomini, non per il carattere inelastico dell’autore, nemmeno per un destino crudelmente avverso. Le perdite morali e materiali che il deficiente comando ha procurato erano necessarie all’Italia. L’Italia che per lunga abitudine, al primo accenno di sconfitta o di incertezza in una battaglia coloniale perdeva la calma, doveva imparare a sopportare pazientemente prove francamente dure. Una buona metà dei nostri soldati sono stati sacrificati, dal punto di vista militare, inutilmente. Ma come per imparare a bene operare è fatale che prima si erri, così per imparare a sacrificarsi ulteriormente, un paese deve temprarsi a sacrifizi non proporzionati. Nessuna apologia potrà farci credere che il vecchio comando supremo abbia condotto bene l’esercito. Ma per arrivare a comandare bene, bisogna voler comandare». Bisognerebbe sapere chi è questo signor Giacomo Devoto, se è un militare (un G. Devoto è professore di glottologia all’Università di Padova). Il suo ragionamento rassomiglia a quello dell’on. Giuseppe Canepa, commissario per gli approvvigionamenti nel 1917, che dopo gli avvenimenti di Torino, si giustificò della disorganizzazione del suo servizio, ricordando il «provando e riprovando» dell’Accademia del Cimento. Ma questa è la filosofia di Monsignor Perrelli nel governo dei cavalli. E non si tien conto che la massa dell’esercito non è un corpo vile e passivo per fare tali esperienze, ma reagisce, appunto disfacendosi: perciò è utile sapere chi è il Devoto, se appartiene ai circoli militari e se le sue opinioni sono pure idiosincrasie o concezione diffusa.
Paolo Boselli si potrebbe chiamare la «cicala nazionale». La sua scelta a capo del governo nazionale nel giugno 1916 è il segno della debolezza della combinazione, che si costituisce su un terreno di retorica parolaia e non di realismo politico: sotto il velo dell’unità data dai discorsi del Boselli, il governo era dilaniato da dissidi insanabili e che d’altronde non si voleva sanare, ma solo coprire.
Politica dei giolittiani nel dopoguerra: discorso di Giolitti a Dronero, dove si pone la quistione della soppressione dell’art.5 dello Statuto, cioè dell’allargamento dei poteri parlamentari contro il potere esecutivo. La caratteristica della politica giolittiana è di non aver coraggio di se stessa (ma che cosa poi si proponeva Giolitti? e non si accontentava poi egli di ottenere appunto solo ciò che ottenne efferrivamente, cioè di disperdere il partito salandrino?): i giolittiani vogliono una Costituente senza la Costituente ,senza cioè l’agitazione politica popolare che è legata alla convocazione di una Costituente: vogliono che il normale Parlamento funzioni come una Costituente ridotta ai minimi termini, edulcorata, addomesticata. Bisogna ricercare la funzione svolta da Nitti per togliere ancora il residuo di veleno alla parola d’ordine lanciata da Giolitti, per annegarla nel marasma parlamentare: certo è che la quistione della soppressione dell’art.5 fa la sua comparsa ufficiale in Parlamento, per essere dimenticata. I giolittiana, prima dell ritorno di Giolitti al governo, lanciano la parola d’ordine di una «inchiesta politica sulla guerra». Cosa poi significhi di preciso questa formula è difficile capire: ma essa è appunto solo uno pseudonimo della Costituente ridotta voluta da Giolitti, come arma per intimorire gli avversari. È da ricordare che i giolittiani ponevano tutta la loro speranza politica nel Partito Popolare, come partito di massa centrista che avrebbe dovuto (e in realtà servì) servire da strumento per la manovra giolittiana. Articoli di Luigi Ambrosini nella «Stampa», entrata di Ambrosini nel Partito Popolare (cfr alcuni di questi articoli raccolti nel volumetto Fra Galdino alla cerca). È tutto un periodo di storia politica e dei partiti italiani da studiare e da approfondire.