Risorgimento. Garibaldi e la frase del «metro cubo di letame» § (139)

Nell’articolo Garibaldi e Pio IX («Corriere della Sera» del 15 aprile 1932) A. Luzio scrive che «va escluso assolutamente che fosse sua (di Garibaldi) una lettera in cui il vecchio Pontefice veniva oltraggiato con l’epiteto volgare di “metro cubo di letame”». Il Luzio ricorda di aver già scritto in proposito (Profili, 1, 485). G.C. Abba avrebbe detto al Luzio di aver udito da Garibaldi «le più sdegnose proteste per l’inqualificabile abuso del proprio nome».

La quistione non è chiara, perché si tratterebbe del fatto che qualcuno avrebbe scritto una «intera lettera» col nome di Garibaldi, senza che questi protestasse immediatamente per l’abuso, mentre le «sdegnose proteste» le fece privatamente all’Abba in conversazione privata di cui l’Abba non avrebbe lasciato [altra] traccia che la conversazione privata col Luzio.

Poiché l’articolo del Luzio è un tentativo di riabilitazione popolare di Pio IX, non è molto d’accordo con altre ricostruzioni del carattere di Pio IX, è da pensare che il Luzio, pur non inventando completamente, abbia alquanto «esagerato» qualche espressione di Garibaldi che attenuava la sua drastica frase.

Il Luzio scrive a proposito di Pio IX: «Documenti diplomatici insospettabili confermano, a ogni modo, qualche cosa di più che la “deserta volontà d’amare” cantata dal Carducci, in Pio IX: la realtà era fors’anche più poetica (sic!) e drammatica. Ci mosta infatti il Papa, circuito dal cardinal Antonelli e da altri intransigenti, chieder oro affannosamente (!!), con mal repressa (!!) ribellione (!): – Ma se la Provvidenza ha decretato l’Unità italiana, devo esser io a contrastarla, a frastornare (!) le decisioni divine, col mostrarmi inconciliabile?».

Pare invece, da altri documenti, che l’influsso dell’Antonelli fosse molto piccolo ecc. In ogni modo il carattere «romanzato» e da romanzo d’appendice della ricostruzione del Luzio è troppo in rilievo, fino a mancare in quel modo la quistione di un possibile decreto della Provvidenza e parlare di «frastornamenti» di divine decisioni.

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