«Saggio popolare» § (196)

Un’osservazione che può farsi a molti riferimenti del Saggio è il misconoscimento delle possibilità dell’errore da parte di singoli autori citati. Ciò è legato a un criterio metodico più generale: che non è molto «scientifico» o più semplicemente «molto serio», scegliere i propri avversari tra i più stupidi e mediocri, o ancora, scegliere tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e più occasionali e presumere d’aver distrutto «tutto» l’avversario perché si è distrutta una sua opinione secondaria e occasionale, o d’aver distrutti un’ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l’insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine. Ancora, occorre essere giusti coi propri avversari, nel senso che bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni. Ciò si dica, se il fine propostosi è quello di elevare il tono e il livello intellettuale dei propri seguaci, e non quello immediato di fare il deserto intorno a sé, con ogni mezzo e maniera. Occorre porsi da questo punto di vista: che il proprio seguace debba discutere e sostenere il proprio punto di vista nei confronti di avversari capaci e intelligenti, e non solo di persone incolte e impreparate, che si convincono «autoritativamente» o per via «emozionale». La possibilità dell’errore deve essere affermata e giustificata, senza con ciò venir meno alla propria concezione, poiché ciò che importa non è già l’opinione di Tizio, Caio, Sempronio, ma quell’insieme di opinioni che sono diventate collettive, sono diventate un elemento e una forza sociale: queste occorre confutare, nei loro esponenti teorici più rappresentativi e degni per altezza di pensiero e anche per «disinteresse» immediato, e non già pensando di aver con ciò «distrutto» l’elemento e la forza sociale corrispondente (ciò che sarebbe puro razionalismo illuministico), ma solo di aver contribuito:

  1. a mantenere nella propria parte lo spirito di scissione e di distinzione;
  2. a creare il terreno perché la propria parte assorba e vivifichi una propria dottrina originale, corrispondente alle proprie condizioni di vita.
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