«Saggio popolare». Residui di metafisica § (219)
Il modo di giudicare le concezioni passate filosofiche come delirio non è solo un errore di antistoricismo, cioè la pretesa anacronistica che nel passato si dovesse pensare come oggi, ma è un vero residuo di concezioni metafisiche, perché suppone un pensiero dogmatico valido in tutti i tempi e in ogni paese, alla cui stregua si giudica tutto il passato, In realtà l’«antistoricismo» in senso metodico è nient’altro che un residuo metafisico. La caducità storica dei sistemi filosofici passati è un concetto che non esclude che essi siano stati validi storicamente: la loro caducità è considerata dal punto di vista dell’intero svolgimento storico e della dialettica vita-morte; che essi fossero degni di cadere, non è un giudizio morale o di «verità» obiettiva, ma dialettico-storico. (Cfr la presentazione fatta da Engels della proposizione hegeliana «tutto ciò che è reale è razionale e 〈tutto ciò che è〉 razionale è reale»): nel Saggio si giudica il passato come «irrazionale» e «mostruoso», la storia del passato è un trattato di teratologia, perché si parte da una concezione «metafisica» (ecco invece perché nel Manifesto è contenuto il più alto elogio del mondo che pure si presenta come morituro).
Così è da dire della concezione di una «oggettività» esteriore [e meccanica], che corrisponde a una specie di «punto di vista del cosmo in sé», che è poi quello del materialismo filosofico, del positivismo e di certo scientismo. Ma che cos’è questo punto di vista, se non un residuo del concetto di dio, appunto nella sua concezione mistica di un «dio ignoto»?