Condannato a venti anni di carcere, si dedicò allo studio del tedesco non accontentandosi più, come scrisse a Tanja Schucht, sorella della moglie, “di sapere quanto bastava per parlare e specialmente per leggere” (23 maggio 1927). Cominciò così a rileggere Goethe e “le novelline dei fratelli Grimm”, deciso a fare dello studio delle lingue la sua “occupazione predominante” nel carcere si applicò alla traduzione delle fiabe dei fratelli Grimm, pensava di ricopiarle e di inviarle ai suoi familiari perché le leggessero ai suoi nipoti ed ai suoi figli.
<<E’ un mio contributo allo sviluppo della fantasia dei piccoli>>, scriveva a margine delle traduzioni che aveva redatto.
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