Quaderno I (XVI) § (118) Il problema dei volontari nel Risorgimento
C’è una tendenza a supervalutare l’apporto delle classi popolari al Risorgimento, insistendo specialmente sul fenomeno del volontariato (vedi articolo del Rota nella «Nuova Rivista Storica» per es.). A parte il fatto che da questi articoli appare che i volontari erano mal visti dalle autorità piemontesi, ciò che appunto conferma la cattiva direzione politico-militare, è in ogni modo da osservare che c’è supervalutazione. Ma questo problema del volontariato pone più in luce la deficienza della direzione politico-militare. Il governo piemontese poteva arruolare obbligatoriamente soldati nel suo territorio statale, in rapporto alla sua popolazione, come l’Austria poteva farlo nel suo territorio e in rapporto alla sua popolazione enormemente più grandi: una guerra a fondo in questi termini, sarebbe sempre stata disastrosa per il Piemonte dopo un certo tempo. Posto il principio che l’«Italia fa da sé» bisognava o accettare la Confederazione tra eguali con gli altri Stati italiani, o proporsi l’unità politica territoriale su una tale base politica popolare che le masse fossero insorte contro gli altri governi e avessero costituito eserciti volontari che fossero accorsi accanto ai piemontesi. Ma appunto qui è la quistione: che non si può pretendere entusiasmo, spirito di sacrifizio ecc. su un programma astratto e per fiducia generica in un governo lontano. Questo è stato il dilemma del 48, ma non si può inveire contro il popolo: la responsabilità è dei moderati e forse ancora di più del Partito d’Azione, cioè in fondo della scarsissima efficienza della classe dirigente.