Gentile § (175)
Vedere il suo articolo La concezione umanistica del mondo (nel corpo della rivista è stampato La concezione umanistica nel mondo ma nel sommario «nel» è «del») nella «Nuova Antologia» del 1° giugno 1931. L’inizio dice: «La filosofia si potrebbe definire come un grande sforzo compiuto dal pensiero riflesso per conquistare la certezza critica delle verità del senso comune e della coscienza ingenua; di quelle verità che ogni uomo si può dire che senta naturalmente e che costituiscono la struttura solida della mentalità di cui egli si serve per vivere». Mi pare un altro esempio della rozzezza incondita del pensiero gentiliano, derivato «ingenuamente» da alcune affermazioni del Croce sul modo di pensare del popolo come riprova di determinate proposizioni filosofiche. La citazione può essere utilizzata per la rubrica del «senso comune». (Epigramma del Giusti: «Il buon senso, che un dì fu caposcuola – or nelle nostre scuole è morto affatto – La scienza sua figliola – l’uccise per veder com’era fatto -»; bisogna vedere se non era necessario che la scienza uccidesse il «buon senso» tradizionale, per creare un nuovo «buon senso»). Così il Gentile parla di «natura umana» astorica, e di «verità del senso comune» come se nel «senso comune» non si potesse trovar tutto e come se esistesse un «solo senso comune» eterno e immutabile. «Senso comune» si dice in vari modi; per es. contro le astruserie, le macchinosità, le oscurità dell’esposizione scientifica e filosofica, cioè come «stile» ecc. L’articolo del Gentile può dare altre perle: un po’ più oltre si dice: «L’uomo sano crede in Dio e nella libertà del suo spirito», cosa per cui già ci troviamo di fronte a due «sensi comuni», quello dell’uomo sano e quello dell’uomo malato. (E cosa vorrà dire uomo sano? Fisicamente sano? Oppure non pazzo? ecc.). Quando Marx accenna alla «validità delle credenze popolari» fa un riferimento storico-culturale per indicare la «saldezza delle convinzioni» e la loro efficacia nel regolare la condotta degli uomini, ma implicitamente afferma la necessità di «nuove credenze popolari», cioè di un nuovo «senso comune» e quindi di una nuova cultura ossia di una nuova filosofia.