Storia e antistoria § (210)

Se la discussione (tra) storia e antistoria è la stessa che quella se la natura e la storia procedano anche per «salti» o solo «evolutivamente», sarà bene ricordare al Croce che anche la tradizione dell’idealismo moderno non è contro i «salti», cioè contro l’«antistoria». (Vedere nell’articolo di Plekhanov i riferimenti da Hegel in proposito). Si tratta poi della discussione tra riformisti e rivoluzionari sul concetto e il fatto dello svolgimento storico o del progresso. Tutto il materialismo storico è una risposta a tale quistione.

La quistione mal posta: si tratta in realtà della quistione tra ciò che è «arbitrario» e ciò che è «necessario», tra ciò che è «individuale» e ciò che è «sociale» o collettivo. Se bisogna assumere come rivoluzioni tutti quei movimenti che per darsi dignità e giustificarsi si chiamano da se stessi «rivoluzioni». C’è una inflazione di concetti e di fraseologia rivoluzionaria. Si crede che il berretto faccia la testa, che l’abito faccia il monaco. Già il De Sanctis aveva osservato e beffeggiato questo atteggiamento nel suo saggio sull’Ebreo di Verona. Bisogna anche vedere se la fraseologia di «rivoluzione» non sia voluta di proposito, per creare la «volontà di credere», «creazione» che è sostenuta da argomenti ben solidi «collaterali» (tribunali, polizia ecc.): Che i tanti mascherotti nicciani in rivolta contro tutto l’esistente, contro le convenzioni sociali ecc. abbiano finito collo stomacare e col togliere serietà a certi atteggiamenti, è verissimo, ma non bisogna lasciarsi guidare dai mascherotti nei propri giudizi: l’avvertimento della necessità di essere «sobri» nelle parole e negli atteggiamenti esteriori è fatto perché ci sia più forza sostanziale nel carattere e nella volontà concreta. Contro il velleitarismo, contro l’astrattismo, l’eroismo di maniera ecc. è una quistione di costume e di stile, non «teoretica».


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