odio gli indifferenti

• Confino e carcere, gli ultimi anni

1926-1937 Poco tempo rimase a Gramsci per dirigere quel Partito alla cui costruzione tanto aveva dato. Nel novembre di quello stesso anno in cui il Pcd'I attuava la grande svolta del Congresso di Lione, Gramsci fu arrestato, rinchiuso a Regina Coeli e quindi inviato al confino in un'isola vicino a Palermo, a Ustica.
Riportato a Milano, sarà poi processato a Roma nel maggio del 1928 per essere condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni. Il terrore che Gramsci incuteva al fascismo viene confessato apertamente dal Pubblico Ministero del Tribunale Speciale quando, chiedendone la condanna, afferma:
"Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare".
Gramsci sarà "sepolto vivo" nelle carceri di Turi, in provincia di Bari, ma il suo cervello continua a funzionare, come dimostrano i “Quaderni scritti dal carcere”, continua a vivere il suo sentimento rivoluzionario che si esprime con tanta forza nelle sue lettere ai familiari.

Gramsci uscirà dal carcere solo per morire, perseguitato dalla sua malattia e finito dalla carcerazione mussoliniana. Si spegnerà a Roma, in ospedale, la mattina dei 27 aprile 1937.
Contesto storico
Gramsci era finito al confino per un errore nella valutazione dei tempi: era il principale esponente del partito comunista, bastava una sua decisione per mettersi al riparo in uno dei centri che il partito aveva organizzato all' estero.
Le circostanze che fanno di Gramsci un confinato, i suoi giorni a Ustica, danno la misura di come la politica possa essere ragione di vita. Che è invadente, non si lascia relegare sullo sfondo.
Erano anni in cui era difficile vivere in Italia, si stava completando l'edificio dello Stato totalitario e agire da oppositore era diventato non solo rischioso ma illegale.
Il 6 novembre del 1926 un Regio decreto aveva dato il colpo di grazia all' agonizzante democrazia; partiti e giornali antifascisti venivano chiusi, per gli oppositori era previsto il confino.
L' approvazione delle leggi "fascistissime" era stata preceduta e seguita da un' ondata di violenze, da assalti alle sedi dei giornali e alle case degli antifascisti.
Muoversi allo scoperto era quasi impossibile: specie se, come nel caso di Gramsci, con tutte le forze si continuava a guardare al futuro e a credere nella possibile formazione di una nuova generazione di italiani.

Nel 1926 Antonio Gramsci ha 35 anni, è arrivato a Roma dalla Sardegna e le sue origini sono molto modeste.
È riuscito a studiare ma in gioventù ha conosciuto la fame, si è avvicinato al marxismo guadagnandosi un ruolo importante nella tormentata storia del movimento comunista.
Nel novembre del ' 26 è in Italia, ma solo perché due anni prima era stato eletto deputato nella circoscrizione del Veneto.
Alla sua compagna Giulia, scrive «quando penso che sotto il controllo dei bastoni 3.000 operai e contadini hanno scritto il mio nome, che parecchi sono stati bastonati a sangue per ciò, giudico che una volta tanto l' essere deputato ha un valore e un significato».
Negli ultimi mesi del '26 l'accelerazione degli avvenimenti non lascia margini, il partito organizza l'espatrio in Svizzera ma lui non si decide. Pensa che il mandato parlamentare ancora lo protegga, Camilla Ravera scrive a Togliatti che per Gramsci bisogna rassegnarsi ad espatriare solo quando, di fronte agli operai, una tale decisione sembri inevitabile: sino ad allora, i capi devono restare in Italia.
Il 9 novembre è fissata una seduta alla Camera, Gramsci vuole essere presente per denunciare le leggi liberticide. Viene arrestato la sera dell' 8, condotto a Regina Coeli dove resta in isolamento per sedici giorni.
Gli viene comunicata la condanna a cinque anni di confino ma non sa la destinazione, potrebbe andare in una delle isole italiane ma anche in Somalia.
Comincia il viaggio verso il Sud su un treno accelerato, con le manette ai polsi, legato con una catena agli altri condannati. I polsi si gonfiano un po' ma - scriverà Gramsci qualche giorno dopo alla cognata Tatiana - danno la sensazione di quanto la macchina umana sia perfetta, adattabile anche alle circostanze più innaturali. Solo a Palermo apprende che la sua destinazione è Ustica.
A Palermo è assieme ad altri condannati, scrive «abbiamo avuto un cameroncino molto pulito e arieggiato con bellissima vista sul monte Pellegrino».
Il vitto però, che i condannati pagano di tasca propria, è caro: «a Palermo ci hanno letteralmente scorticati».
La parte più difficile è la traversata Palermo-Ustica, coi condannati sempre ammanettati e incatenati l'uno all'altro.
Ci vogliono quattro tentativi, perché il vaporetto non resiste al mare agitato e ogni volta torna indietro.
A Ustica, Gramsci trova casa assieme ad altri cinque confinati. Vivono in comune, il fascismo ha messo assieme uomini che nella vita civile erano stati divisi e qualche volta avversari, c' è «tutta la gamma dei partiti e della preparazione culturale».
Gramsci individua subito l'unico obiettivo possibile: «non abbrutirsi e giovare agli altri».
Ustica ha una popolazione complessiva di 1.600 abitanti, gli usticesi sono gentili ed ospitali e con loro è permesso avere contatti.
Ma la più evidente fra le caratteristiche isolane è la colonia penale coi suoi seicento coatti, criminali comuni che hanno subito più condanne: vivono in ozio forzato con le 4 lire al giorno che passa il governo, denutriti e alcolizzati, vittime di usurai che qualche volta anticipano loro i soldi per bere e giocare.
I trenta confinati politici sono l'élite della popolazione carceraria: a loro è proibito avvicinarsi ai capannoni dove, chiusi dall'esterno sin dal pomeriggio, stanno questi «esseri ridotti a una vita tanto eccezionale».
Ma Gramsci li osserva, riflette sul loro abbrutimento «presi in un girone infernale che dura all' infinito», sulle passioni violente che rapidamente degenerano.
A Piero Sraffa, suo grande amico sempre pronto ad aiutarlo, Gramsci scrive che dal punto di vista dell'esistenza animale il soggiorno ad Ustica è abbastanza piacevole.
Nella cittadina, qualificata di «tipo saraceno» e in cui l' unico mezzo di locomozione è l'asino, l'inverno è mite, si fanno passeggiate in mezzo a paesaggi «amenissimi e visioni di marine, albe e tramonti meravigliosi».
Per risparmiare si organizza una mensa comune, la sera si gioca a carte, «non avevo giocato mai finora».
Ma Gramsci è il teorico della "educazione comunista", ha coltivato una illuministica fiducia nelle quasi miracolose virtù della cultura.
Anche al momento dell' arresto, ha in tasca un biglietto per la redazione de "L'Unità" sulla necessità di abituarsi a «pensare e studiare anche nelle condizioni più difficili»: nella concezione gramsciana cultura e politica sono inseparabili, solo la cultura può creare il collegamento fra operai del Nord e contadini meridionali. Nei suoi giorni a Ustica Gramsci si sente forte, il suo obiettivo è continuare a lavorare.
Scrive «non voglio essere compianto. Ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata».
E poi di uno "spiritello" che lo spinge a cogliere il lato comico di tutte le situazioni e lo mantiene allegro, di una resistenza fisica che non pensava di avere: «io stesso sono stupefatto di sentirmi così bene».
L'11 dicembre scrive a Sraffa chiedendo libri, preoccupato dal «problema dell' abbrutimento intellettuale» e il 21 annota che sono già cominciati una serie di corsi per i confinati politici.
A Ustica Gramsci ritrova il napoletano Amedeo Bordiga, suo avversario al congresso di Lione del gennaio 1926. Assieme, organizzano una serie di corsi per i confinati.
Bordiga dirige la sezione scientifica e Gramsci quella storico-letteraria, per trasformarsi in alunno nei corsi di tedesco.
Il 2 gennaio, da una lettera a Sraffa apprendiamo che la scuola è frequentata con grande diligenza e attenzione anche da alcuni funzionari e abitanti dell' isola, e di sicuro è una gran novità nel monotono ritmo di Ustica dove solo l'arrivo del vaporetto movimenta le giornate. è una scuola in piena regola, con corsi che partono dal livello elementare e altri di approfondimento.
Del resto, è bastato l' arrivo dei confinati per modificare la vita nell' isola. Nel gennaio del ' 27 alcuni tecnici stanno «combinando per impiantare la luce elettrica» e anche «l'economia del soldo» non è più la stessa: a fronte dei coatti i confinati sono ricchi, dispongono di ben 10 lire al giorno che spendono in loco. La scuola, scrive Bordiga a Gramsci ormai a Milano, esige lavoro ma dà tante soddisfazioni.
Da trenta che erano, in pochi mesi i confinati sono diventati 300 e tutti studiano con serietà, secondo il programma pensato da Gramsci.
Il leader comunista a Ustica, nelle eccezionali condizioni determinate dal regime, riesce a creare una comunità che è quasi un esperimento utopico: dove cultura e politica sono inseparabili, e si studia per rendere il popolo protagonista del suo destino.
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