odio gli indifferenti

• Torino l'università e l'adesione al PSI

1911 Per proseguire gli studi dopo la licenza liceale, concorre ad una borsa di studio.
Ad ottobre è a Torino, supera l'esame ed ottiene le settanta lire mensili concesse agli studenti disagiati delle ex-province del Regno di Sardegna, si iscrive alla facoltà di Lettere.
Antonio scrive alla famiglia: "Queste settanta lire sono assolutamente insufficienti e lo proverò con dati di fatto: per quanto abbia girato non ho potuto trovare una camera per meno di 25 lire: come quella dove sto ora; da 70 tolgo 25 e rimangono 45 lire, con le quali devo mangiare, pensare alla pulizia della biancheria (non meno di 5 lire tra lavatura, stiratura, ecc.), al lucido per le scarpe, alla luce per la stanza, alla carta, penne, inchiostro per la scuola, che sembra poco eppure bisogna pagarlo con 40 lire! ... per pranzare non meno di 2 lire alla più modesta trattoria, come quella dove fino a pochi giorni fa mangiavo e mi davano un piattino di maccheroni per 60 centesimi e una bistecca sottile come una foglia per altrettanto, sicché dovevo mangiarmi 6 o 7 panini e avevo più fame di prima".

1911-1913
I primi anni trascorsi a Torino sono segnati dalle difficoltà che Antonio incontra, sia come provinciale approdato nella grande città, sia per la miseria terribile in cui si trova, sia per l'aggravarsi dell'esaurimento nervoso. Scriveva a casa: "Provo una specie di ribrezzo a fare delle camminate, dopo che ho corso il rischio di andare sotto a non so quante automobili e trams", "é un bell'affare uscire di casa e attraversare la città coi brividi e poi al ritorno trovare una stanza fredda e non potersi riscaldare, ma dover rimanere per un paio d'ore ancora coi brividi... il peggio è che la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per riscaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata"; "in un mese che studio e mi accanisco non ho ottenuto che di farmi venire le vertigini e di farmi ritornare, straziante, il mal di capo, e una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che riesca a trovare requie né passeggiando né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come furibondo", "da almeno tre anni non ho passato un giorno senza il male di capo, senza una vertigine o un capogiro".
Sono difficili anni di fame, freddo e atroci dolori, di studio febbrile anche per aver rinnovato la borsa di 70 lire ma, dopo un primo periodo di quasi totale isolamento, Antonio comincia a frequentare gli ambienti socialisti torinesi, si iscrive al Partito Socialista Italiano (Psi) e si schiera con la frazione della sinistra rivoluzionaria, in un clima di vivace dibattito e di grande carica ideale che così bene descrive nell'articolo "Pietro Gavosto".
Stringe amicizia con Angelo Tasca, già socialista.

1914-1916 L'otto giugno del ‘14 il proletariato torinese è in piazza: "Così noi commemoravamo i nostri morti. torinoNon vane parole. Non richiami singhiozzanti a sfumate entità umanitarie, ad abbracciamenti generali. per vendicare una vita sacrilegamente violentata, ma l’inquadramento delle nostre forze nei ferrei ranghi della solidarietà di classe ma maree nereggianti di rudi uomini che calavano nei bouvelards cittadini a sfilare innanzi alle saracinesche abbassate dei piccoli uomini della vigilia, rodentisi di rabbia compressa e di paura. Così commemoravamo i nostri morti, col sangue dei nostri migliori, e colla promessa di un domani migliore".
E’ la “settimana rossa", seguita all'eccidio di Ancona dove, nel corso di una manifestazione antimilitarista, erano stati uccisi tre operai. Altri due operai morirono a Torino nel corso dello sciopero generale e delle grandi manifestazioni che seguirono e a cui partecipò attivamente Antonio Gramsci.
In quello stesso mese comincia la sua collaborazione a "Il grido del popolo" caratterizzando la sua scelta politica come scelta di lotta. In questo senso prende posizione contro l'equivoca parola d'ordine del Psi sulla guerra imminente, contro la "neutralità assoluta" che si tradurrà poi nella formula "né aderire né sabotare".
La neutralità assoluta per Gramsci si traduce in passività del proletariato, dando ragione ai riformisti i quali "vorrebbero che il proletariato assistesse da spettatore imparziale agli avvenimenti, lasciando che questi gli creino la sua ora, mentre intanto gli avversari la loro ora se la creano da sé e preparano la loro piattaforma per la lotta di classe".
Egli propone un'energica azione rivoluzionaria perché "Solo così sarà ristabilito il dualismo delle classi, il Partito socialista si libererà da tutte le incrostazioni borghesi che la paura della guerra gli ha appiccicato addosso (mai come in questi ultimi due mesi il socialismo ha avuto simpatizzanti più o meno interessati)". Esaltando il ruolo del proletariato, degli uomini che compongono la classe rivoluzionaria, Gramsci conclude:
"Si tratta di uomini, invece, che hanno dimostrato, specialmente in questi ultimi anni, di possedere un'agilità di intelletto e una freschezza di sensibilità quale la massa borghese amorfa e menefreghista è ben lontana dal solamente fiutare... O che forse ci spaventiamo del lavoro che bisognerebbe fare per fargli assumere questo nuovo compito, che forse potrebbe essere per lui il rpincipio della fine del suo stato di pupillo della borghesia". Questo articolo di Gramsci si inseriva in una vivace polemica in corso nel Psi dove Mussolini, allora direttore de "l’Avanti", attaccava la posizione della direzione socialista ma per portare il partito su posizioni interventiste, perseguendo una manovra finanziata dalla borghesia francese che si svilupperà poi nella rottura col Psi e nella fondazione del giornale nazionalista "Il popolo d'Italia".
A Mussolini si contrapponeva una posizione di passività assoluta, sostenuta in particolare da Angelo Tasca; con lui, appunto, polemizza Gramsci nell'articolo, sostenendo anch'egli la neutralità, ma attiva ed operante, rivoluzionaria, tale da rompere decisamente con l'evoluzionismo riformista, con quella concezione del socialismo inteso come prodotto ineluttabile dello sviluppo storico, per sostenere il ruolo attivo dell'uomo, della sua coscienza e della sua volontà. Il rifiuto della passività, dell'attesismo, è un tratto fondamentale in Gramsci ed appare fin da questi primi scritti.
Per Gramsci l'adesione al movimento socialista è innanzitutto una scelta di campo nella lotta, uno schierarsi nettamente da una precisa parte della barricata, dalla parte dei lavoratori e delle masse sfruttate. In una situazione di grandi sconvolgimenti storici, con l'esplodere di una guerra che porterà al massacro tanti lavoratori, l'impegno politico di Antonio Gramsci si fa totale, già nel 1915, avrà abbandonato totalmente gli studi per dedicarsi al lavoro giornalistico e alla militanza attiva nei circoli operai di Torino.
 
1917-1918 Arrivano dalla Russia le prime notizie dell'esplodere della rivoluzione.
Gramsci è attentissimo e ne coglie le finalità socialiste, orientandosi nella frammentarietà di notizie con cui i giornali borghesi presentano gli avvenimenti. Il nome di Lenin viene finalmente conosciuto anche in Italia e, con esso, le parole d'ordine dei bolscevichi sulla guerra e sui contenuti della rivoluzione russa.
Gramsci esalta in vari articoli la rivoluzione russa e Lenin, collabora attivamente ad organizzare una manifestazione per accogliere la delegazione di Pietrogrado, che arriva a Torino nel luglio del 1917.
Si tratta di menscevichi, ma la folla di cinquanta mila operai li accoglie al grido di "Evviva Lenin! Evviva i bolscevichi!", "Fare come in Russia" è la parola d'ordine che serpeggia fra le masse e il 23 agosto Torino proletaria insorge. "Per cinque giorni gli operai combatterono nelle vie della città.
Gli insorti, che disponevano di fucili, granate e mitragliatrici, riuscirono persino ad occupare alcuni quartieri della città e tentarono tre o quattro volte di impadronirsi del centro ove si trovavano le istituzioni governative e i comandi militari... Il popolo eresse delle barricate, scavò trincee, circondò qualche rione di reticolati a corrente elettrica e respinse per cinque giorni tutti gli attacchi delle truppe e della polizia.
Caddero più di 500 operai, più di 2000 vennero gravemente feriti. Dopo la sconfitta i migliori elementi furono arrestati e allontanati e il movimento proletario perdette di intensità rivoluzionaria.
Ma i sentimenti comunisti del proletariato torinese non erano spenti". Il moto è spontaneo, come fu quello della "settimana rossa", e la direzione del Psi dimostrò ancora una volta la sua estraneità al movimento delle masse proletarie.
Gramsci diventa segretario del Comitato provvisorio che si insedia nella sezione socialista dopo l'arresto di quasi tutti i dìrigenti, svolge anche la funzione di direttore de "Il Grido del Popolo" nonostante la sua giovane età: ha infatti 26 anni.
Nel novembre è a Firenze ad una riunione clandestina della "frazione intransigente rivoluzionaria" con Lazzari, Serrati, Bombacci; si unisce a Bordiga nel difendere la necessità di una posizione attiva del proletariato nella crisi seguita a Caporetto.
Nel gennaio del 1918 polemizza aspramente col riformista Treves che lo accusa di volontarismo.
Definendo brevemente i tratti del determinismo riformista, Gramsci scrive "il Treves, nella sua alta cultura, ha ridotto la dottrina di Marx a uno schema esteriore, a una legge naturale, fatalmente verificantesi all'infuori della volontà degli uomini, della loro attività associativa, delle forze sociali che questa attività sviluppa, diventando essa stessa determinante di progresso, motivo necessario di nuove forme di produzione.
La dottrina di Marx divenne cosi la dottrìna dell'inerzia del proletariato".
A quella visione meccanicista e opportunista contrappone la "genuina dottrina di Marx, per la quale l'uomo e la realtà, lo strumento dì lavoro e la volontà, non sono dissaldati, ma si identificano nell'atto storico".
Sono temi che Gramsci sviluppa e rinvigorisce alla luce del leninismo, che finalmente supera la barriera delle Alpi e viene conosciuto anche in Italia.
La teoria del Partito e dell'egemonia del proletariato, attuati da Lenin nella Rivoluzione d'Ottobre, trovano in Gramsci la massima predisposizione proprio perché tutta la sua militanza politica aveva già teso a sottolineare il ruolo decisivo dell'azione soggettiva del proletariato, la necessità di una linea e di un'azione dìretta per mutare il corso della storia.
Sino a quando "Il Grido del Popolo" cesserà le pubblicazioni, il 19 ottobre del 1918, Gramsci userà quel giornale per cominciare a diffondere le idee dei bolscevichi, per far conoscere Lenin e il leninismo.
La cessazione della guerra e le condizioni rivoluzionarie del dopoguerra porranno "con maggiore urgenza tale necessità cui non poteva assolvere l'edizione torinese de "l’Avantil" di cui è redattore.
 
1919-1920 Sono gli anni cruciali del dopoguerra, denominati “Biennio rosso” per le grandi lotte e i grandi movimenti di massa che li caratterizzano.
In questi anni si pongono le basi per la formazione del Partito Comunista, la classe operaia si pone come forza egemone della rivoluzione, e, raccogliendo l'esperienza soviettista che viene dall'Ottobre russo, si organizza e combatte per la presa del potere e l'instaurazione della dittatura del proletariato.
Gli avvenimenti di questi anni sono strettamente legati alla situazione e alle lotte internazionali, agli effetti obiettivi provocati dalla Rivoluzione d'Ottobre e all'azione svolta dai bolscevichi e portata avanti in Italia da Antonio Gramsci.
1919 Gennaio I bolscevichi al potere convocano il primo Congresso dell’"Associazione Internazionale degli operai", che la sarà la Terza Internazionale, rompendo con la precedente, la II Internazionale, basata su strutture confederative.
L'Internazionale Comunista si pone come un Partito mondiale, con un'unica ideologia, un'unica tattica, un'unica organizzazione centralizzata, capace di dirigere le lotte rivoluzionarie di ciascun Paese nella visione comune e internazionalista, di contrapporre al capitalismo imperialista, alla sua concentrazione e influenza mondiale, l'organizzazione degli operai in un unico esercito internazionale.
I partiti aderenti sono sezioni nazionali di un unico organismo e sviluppano la loro azione in base alla linea e alla disciplina comune, arricchendo e potenziando il proprio lavoro nelle singole nazioni attraverso l'esperienza e il legame con le altre Sezioni adeguando e traendo maggior forza dalla direzione unica esercitata da un esecutivo permanente.
La difesa del primo Stato socialista, l'attuazione della dittatura del proletariato, costituiscono gli obiettivi della lotta per la cui realizzazione è necessario ristrutturare i partiti aderenti sul modello di quello bolscevico, mentre l'azione di massa deve tendere alla costruzione di organismi analoghi ai Soviet, quali strutture del nuovo Stato proletario.

1919 Marzo La direzione del Partito Socialista Italiano aderisce alla III Internazionale, ma nulla viene fatto per trasformare il partito e adeguarlo ai compiti cui diceva di voler assolvere.
L'equivoco di un partito che aderisce all'Internazionale Comunista senza essere conseguente nelle linee politiche e organizzative, senza comprenderne le implicazioni, senza fare della dottrina e del metodo bolscevico pratica operante, determinerà il corso delle lotte di questi anni.
Nel Partito Socialista operavano i riformisti diretti da Treves e da Turati: apertamente collaborazionisti e parlamentaristi, antileninisti dichiarati e contrari all'adesione alla III Internazionale Comunista, sebbene numericamente in minoranza, erano però molto forti perché controllavano il gruppo parlamentare e 1’apparato sindacale.
I massimalisti raccoglievano il grosso del partito, erano fautori dell'adesione alla III Internazionale, si dichiaravano rivoluzionari e leninisti, ma in pratica erano incapaci di un minimo di organizzazione e di risolutezza, sapevano accendere le piazze ma non certo disporre le forze per una lotta, attaccavano i riformisti per poi accodarsi ad essi in ogni iniziativa.
Centristi per la loro presunzione di essere al di fuori delle parti, mediatori per vocazione e per natura piccolo-borghese, i massimalisti pur essendo maggioranza, finivano col contare poco o nulla nelle scelte politiche; sempre delegate ai riformisti, più pratici nel senso di più adatti a muoversi nel sistema capitalistico.
Gli astensionisti guidati da Bordiga, aderivano all'Internazionale Comunista e portavano avanti la sua linea di espellere dal partito i riformisti e gli opportunisti di ogni risma, in questo senso costituivano la frazione più importante che conduceva la lotta nel Psi perché diventasse un Partito Comunista aderente a tutti gli effetti alla III Internazionale.
1919 Maggio Gramsci fonda a Torino "L’Ordine Nuovo", della redazione fanno parte Angelo Tasca, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini.
gramsci Ordine Nuovo redattori"Chi eravamo? Chi rappresentavamo? Di quale nuova parola eravamo portatori? Ahimè! L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura proletaria; volevamo fare fare fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana", scriveva Gramsci ricordando anche l'immediato contrasto che emerse con Tasca.
"Cosa voleva il compagno Tasca? Egli voleva che non si iniziasse nessuna propaganda direttamente fra le masse operaie, egli voleva un accordo con i segretari delle federazioni e dei sindacati, egli voleva che si promuovesse un convegno con questi segretari, e si costruisse un piano per un'azione ufficiale; il gruppo de “L’Ordine Nuovo” sarebbe stato così ridotto al livello di una cricca irresponsabile di presuntuosi e di mosche cocchiere... il compagno Tasca respinse, come non conforme alle buone tradizioni della morigerata e pacifica famigliola socialista italiana, la proposta di consacrare le nostre energie a “scoprire” una tradizione soviettista nella classe operaia italiana, a scavare il filone del reale spirito rivoluzionario italiano".

1919 Giugno Gramsci attua quello che lui stesso definisce un "colpo di Stato redazionale" e pubblica l'articolo "Democrazia operaia".
L'interrogativo "Esiste in Italia, come istituzione della classe operaia, qualcosa che possa essere paragonato al Soviet, che partecipi della sua natura? qualcosa che ci autorizzi ad affermare: il Soviet é una forma universale, non un istituto russo, solamente russo?", è un interrogativo che si pone sulla base dello studio della Rivoluzione d'Ottobre e delle esperienze che il proletariato va realizzando nei paesi industriali, dagli Stati Uniti d’America all'Inghilterra, dalla Germania all'Ungheria.
Il dibattito è sorto con la nascita de "L’Ordine Nuovo", e si è sviluppato  fra le avanguardie operaie torinesi e la risposta "esiste in Italia, a Torino, un germe di governo operaio, un germe di Soviet; è la Commissione interna" viene proprio da tali operai. Con l'indicazione di Gramsci "Le commissioni interne sono organi di democrazia operaia che occorrerebbe liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e alle quali occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le commissioni interne limitano il potere capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitrato e di disciplina. Sviluppate e arricchite, dovranno essere domani gli organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione".
Il problema dello sviluppo della commissione interna divenne problema centrale, divenne l'idea de "L’Ordine Nuovo".
Il dibattito si accese vivacissimo nelle fabbriche e impegnò la redazione in un'intensa attività per tutta l'estate di quell'anno, fra conferenze sull'esperienza internazionale, incontri e studi sull'organizzazione delle fabbriche. Nella Torino proletaria si traduceva in pratica la parola d'ordine della III Internazionale sulla costruzione dei Soviet o, con l'equivalente termine italiano, dei Consigli. Gramsci rifiuta così il dibattito verboso e fine a se stesso in cui è invischiato il Psi, dedica invece ogni sforzo affinché il leninismo diventi elemento vivo della lotta di classe, patrimonio operante del proletariato italiano. Il gruppo de "l'Ordine Nuovo" rimarrà una formazione locale, senza rappresentanti all'interno della direzione del partito, ma l'azione dei giovani torinesi finirà con l'incidere più di ogni altro discorso, con l'essere decisiva negli avvenimenti di questi anni, non tanto per la propaganda scritta, quanto per l'azione pratica di massa.
Con la costruzione dei Consigli di fabbrica essi daranno una forma organizzativa e una fattiva linea rivoluzionaria alla lotta della classe operaia italiana, costruendo una realtà politica di massa di fronte alla quale crolleranno le girandole di parole e le altre teorizzazioni con cui si copriva l'opportunismo dei dirigenti ufficiali del Psi.
1919 Luglio Per il 20-21 è proclamato lo sciopero di solidarietà con le Repubbliche socialiste di Russia e d'Ungheria attaccate dai governi capitalistici.
A Torino, per "servizio d'ordine" era stata inviata la Brigata Sassari. Alla vigilia dello sciopero essa fu allontanata da Torino e la formazione divisa. Gramsci si era fatto promotore di una azione politica fra i militari, quasi tutti sardi, e li aveva portati sulle posizioni del proletariato concretizzando così quelle linee di intervento fra i contadini che già appaiono ne "L'Ordine Nuovo" e che svilupperà nella sua attività rivoluzionaria. Posti di fronte al dilemma "siete voi, poveri diavoli sardi, per un blocco coi signori di Sardegna che ci hanno rovinato e sono sorveglianti locali dello sfruttamento capitalistico o siete per un blocco con gli operai rivoluzionari del continente che vogliono abbattere tutti gli sfruttamenti ed emancipare gli oppressi?", i soldati oscillano e non danno più affidamento alla borghesia torinese.
I semi gettati avrebbero dato dei frutti: "Essi hanno illuminato per un momento cervelli che non avevano mai pensato in quella direzione e che sono rimasti impressionati, modificati radicalmente... noi ricordiamo decine e centinaia di lettere giunte dalla Sardegna alla redazione torinese de “l’Avanti!”; lettere spesso collettive, spesso firmate da tutti gli ex-combattenti della - Sassari- di un determinato paese".
Nel corso dello sciopero Gramsci viene arrestato e trascorre qualche giorno in carcere.

1919 Settembre Alla Fiat-Brevetti si costituisce il primo Consiglio di fabbrica. Il movimento si allarga rapidamente e, dalla Fiat si propaga alle altre fabbriche torinesi. Nella città industriale ben presto tutta la classe operaia è organizzata nei Consigli.

1919 Dicembre
Alcuni deputati socialisti vengono aggrediti e malmenati da un gruppo di monarchici nazionalisti.
Esplodono in tutta Italia scioperi e manifestazioni di protesta con scontri "tra proletari e piccoli e medi borghesi", come sottolinea Gramsci nell'articolo "Gli avvenimenti del 2-3 dicembre", dove l'invettiva contro la piccola e media borghesia si sviluppa all'interno di un'analisi estremamente lucida sulle forze della rivoluzione in Italia e sui compiti del proletariato.
La pratica di Torino in cui, grazie all'organizzazione dei Consigli di fabbrica, in poche ore furono mobilitati 120.000 operai, costituisce la prova della validità delle sue tesi e delle capacità organizzative raggiunte dal proletariato industriale.

1920 Gennaio Si tengono le elezioni per rinnovare l'esecutivo della sezione socialista di Torino.
Il gruppo de "L’Ordine Nuovo" intende raggiungere un accordo con gli astensionisti per estromettere totalmente i riformisti e gli opportunisti dal partito e dal sindacato.
Sulla base di una linea che tende a rafforzare e sviluppare l’esperienza dei Consigli, Gramsci formula il documento della sinistra. Tasca rompe col gruppo e si allinea coi riformisti per combattere gli astensionisti, tentando di spostare a destra tutto l'esecutivo del Psi torinese.
La manovra viene sventata e Tasca rimane isolato, staccandosi progressivamente da "L’Ordine Nuovo" e dalle posizioni di Gramsci.

1920 Marzo Il 7 si tiene il Convegno nazionale della Confindustria. Olivetti, che ne è il segretario, riferisce sui Consigli torinesi e proclama che essi devono essere schiacciati inesorabilmente; lo stato maggiore degli industriali prepara il piano per isolare e attaccare il proletariato torinese.
Tutta la stampa borghese scatena una massiccia azione denigratoria contro gli operai e contro "L’Ordine Nuovo" con la piena coscienza che i Consigli di fabbrica rappresentano un esempio per tutto il proletariato italiano, sono un'indicazione vivente della via da seguire perché si possa raggiungere l'obiettivo di farla finita col sistema capitalistico, che devono quindi essere immediatamente isolati dal resto d'Italia. Ma non è solo la stampa borghese a denigrare i Consigli.
Mentre il padronato si predisponeva al più massiccio attacco antioperaio, i burocrati sindacali e i dirigenti del Psi si mobilitarono anch'essi per isolare l'esempio torinese.
Ogni genere d'attacco viene condotto contro "L’Ordine Nuovo", i cui membri vengono definiti "un pugno di irresponsabili", "gruppetto di estremisti scalmanati".
Come dirà Gramsci le aspre critiche degli organismi sindacali e della direzione del Partito socialista incoraggiano nuovamente i capitalisti i quali non ebbero più freno nella loro lotta contro il proletariato torinese e contro i Consigli di fabbrica"; oltre 50.000 soldati vengono inviati nella città industriale e vi instaurano un vero e proprio stato d'assedio.
Il 28 gli industriali prendono pretesto dalla manomissione di un orologio alla Fiat per scatenare l'offensiva; l'atto è senza conseguenze, ma il padrone chiede l'ineleggibilità per un anno dei delegati.
Il Consiglio cerca di prendere tempo, anche in attesa dell'imminente Consiglio nazionale del Psi, e comincia estenuanti trattative.

1920 Aprile Gli operai sanno che il momento non è favorevole allo scontro, hanno piena coscienza del loro isolamento, ma il 13 diventa inevitabile una risposta al padronato e Torino affronta da sola lo sciopero generale.
La classe operaia resiste eroicamente, per dieci giorni mantiene con le armi in pugno le fabbriche e la città; la lotta si allarga alla provincia e trova la solidarietà dei braccianti; operai di Livorno, Genova e di altre città italiane scendono spontaneamente in lotta per sostenere i Consigli torinesi.
Ma lo scontro è impari e vani sono i disperati appelli al Psi e alla Camera Generale del Lavoro (Cgl) perché si generalizzi lo sciopero. Ciò che non comprendono i dirigenti del proletariato viene pienamente compreso dalla borghesia, che conduce la battaglia dedicandole il massimo sforzo, cosciente che in discussione è il suo potere. Il 20-21 si tiene il Consiglio nazionale del Psi che, già fissato a Torino, era stato spostato a Milano "perché - come annotava sarcasticamente Gramsci - una città “in preda ad uno sciopero generale” sembrava poco adatta come teatro di discussioni socialiste".
La sezione torinese è rappresentata da Tasca e da Terracini.
Costoro all'inizio dei lavori presentano una mozione basata sulle lotte e le posizioni politiche che Gramsci esprime nel documento "Per un rinnovamento del Partito socialista," formulato a nome e per conto di tutta la sezione socialista torinese.
Nel corso del dibattito essi stessi ritireranno la mozione per accodarsi a Giacinto Menotti Serrati, mentre questa, ripresa da Francesco Misiano, otterrà comunque oltre un quarto dei voti dei delegati.
Tasca, le cui posizioni sono già note, continua nella sua linea, affiancato in quella occasione da Terracini.
Quel convegno verrà sempre considerato da Gramsci un’aperta scissione, dato che i dirigenti socialisti trasformavano un dissenso di linea in aperto tradimento alla lotta, si contrapponevano al movimento operaio per schierarsi con la borghesia.
Scriverà Gramsci: "Se dopo la scissione di aprile avessimo assunto la posizione che io pure pensavo necessaria, forse saremmo arrivati in una situazione diversa alla occupazione delle fabbriche e avremo rimandato questo avvenimento ad una stagione più propizia" e questo scriverà proprio a Togliatti e a Terracini ribadendo sempre come, secondo lui, si era "commesso un grave errore nel 1919-20 a non attaccare più recisamente la direzione socialista e anche a correre l'alea di una espulsione".

1920 Maggio "L'Ordine Nuovo" pubblica il documento formulato da Gramsci Per un rinnovamento del Partito socialista in cui la piena assimilazione del leninismo viene tradotta in analisi lucidissime sullo stadio cui è giunta la lotta di classe in Italia e in proposte concrete per farvi fronte.
I riformisti, ímbaldanziti come i reazionari dalla sconfitta subita dai Consigli, rialzano la testa e scatenano contro Gramsci attacchi frenetici "di natura prettamente poliziesca e provocatoria".
Tasca rompe con il gruppo de "L’Ordine Nuovo", passa dalla loro parte e favorisce la manovra che tenta di isolare i militanti rivoluzionari della sinistra socialista e di riportare le masse operaie sotto la direzione dei burocrati opportunisti.

1920 Giugno La Federazione Italiana degli Operai Metalmeccanci (Fiom) tiene a Genova una conferenza per predisporre la lotta dei metalmeccanici.
La preoccupazione centrale di Gramsci è rivolta all'organizzazione politica del proletariato, vuole impedire ad ogni costo che si ripeta la triste esperienza dell'aprile di Torino: "informati che nella conferenza di Genova era stato delineato il piano di lotta dell'occupazione delle fabbriche, ponemmo alla direzione del Partito socialista, attraverso il compagno Terracini, la questione dell'intervento del partito nell'agitazione e proponemmo di creare le cellule come base organizzativa del partito stesso nelle fabbriche. La proposta fu respinta …. Battuti dinanzi alla direzione, uno degli “ordinovisti” e precisamente il sottoscritto si recò, per incarico della sezione socialista torinese, alla conferenza nazionale della frazione astensionista che si tenne a Firenze nel luglio, per proporre la formazione di una frazione comunista sulla base dei principi organizzativi e politici dell'Internazionale (cellule, consiglio di fabbrica).
“Anche qui la proposta fu respinta perché si riteneva che per dirigere le masse fossero inutili le "pure forme organizzative", mentre erano sufficienti le affermazioni di astensionismo parlamentare.
Così la classe operaia arrivò all'occupazione delle fabbriche senza direzione politica rivoluzionaria e i riformisti poterono essi dirigere le masse verso la rinunzia alla lotta".

1920 Luglio L'estrema lucidità di Gramsci nel comprendere la situazione italiana si scontra ad ogni passo con titubanze, oscillazioni, teorie astratte e inconcludenti, mentre lo scontro di classe si evolve rapidamente. Egli lotta contro il tempo, verificando ad ogni passo in quale baratro di nullismo e di codardia fossero caduti i capi del socialismo italiano.
Persino gli astensionisti, i più vicini alle posizioni comuniste, erano fuori della realtà: "bisognava aver fretta.
Io mi ricordo che nel luglio di quell'anno mi recai al Convegno astensionista di Firenze a proporre la creazione e la costituzione di una frazione comunista nazionale.
Il compagno Bordiga anche allora “non ebbe fretta” e respinse la nostra proposta, in modo che l'occupazione delle fabbriche avvenne senza che esistesse in Italia una frazione comunista organizzata capace di lanciare una parola d'ordine nazionale alle masse che seguivano il Partito socialista.
Anche il fattore “tempo” ha importanza. Talvolta esso ha anzi un'importanza capitale".
Mentre in Italia Gramsci lottava nell'isolamento più totale, da Mosca veniva netto il riconoscimento della giustezza rivoluzionaria delle sue posizioni.
Il 19 luglio si erano aperti i lavori del II Congresso dell'Internazionale Comunista e la delegazione del Psi trovò, al punto 17 delle tesi, una ferma posizione del Comintern: "Per quanto riguarda il Partito socialista italiano, il II Congresso della III Internazionale ritiene sostanzialmente giusta la critica al partito e le proposte pratiche, pubblicate come proposte al Consiglio Nazionale del Partito socialista italiano, a nome della sezione torinese del partito stesso, nella rivista “L'Ordine Nuovo” dell'8 Maggio 1920, le quali corrispondono pienamente a tutti i principi fondamentali della III Internazionale.
Il II congresso della III Internazionale invita perciò il Partito socialista italiano a convocare un congresso straordinario del partito per esaminare tali proposte, come pur tutte le decisioni dei due congressi straordinari dell'Internazionale comunista, al fine di rettificare la linea del partito e al fine di epurare il partito stesso e soprattutto il suo gruppo parlamentare dagli elementi non comunisti".
Questa parte delle tesi, formulata direttamente da Lenin, fu criticata da tutta la delegazione italiana presente a Mosca, dai massimalisti come dagli astensionisti, ma a tutti costoro e alle loro obiezioni Lenin rispose nella sua replica: "Noi dobbiamo semplicemente dire ai compagni italiani, che all'indirizzo dell'Internazionale comunista corrisponde l'indirizzo dei militanti de “L’Ordine Nuovo"”.
Nel marasma di posizioni politiche contraddittorie, al di là del vociare e del cavillare dei dirigenti ufficiali del Psi, Lenin, dalla lontana Russia, indicava senza equivoci al proletariato italiano le posizioni di Gramsci come le uniche che traducevano in concreta pratica rivoluzionaria l'esperienza storica e la teoria del bolscevismo.

1920 Agosto Il 7 il Congresso dell'Internazionale chiude i suoi lavori formulando in 21 punti le condizioni di adesione all'organizzazione mondiale.
Equivoco e compromesso non sono più possibili, non basta più proclamare di essere rivoluzionari ma si deve completamente abbandonare il terreno della socialdemocrazia espellendo dai partiti aderenti all'Internazionale i riformisti e gli opportunisti di ogni genere, avviando il processo di bolscevizzazione dei partiti nella loro linea e nella loro struttura organizzativa.
È un appello a tutti i comunisti del mondo, con l'esplicita direttiva di marciare decisamente alla fondazione dei partiti comunisti. Di fronte alle decisioni dell'Internazionale non sono solo i dirigenti del Psi a sbandare ulteriormente e se Gramsci trova conforto alla linea seguita nei mesi precedenti, Togliatti e Terracini raggiungono Tasca, e confluiscono nel gruppo massimalista degli "elezionisti".
Per Gramsci era necessario "appoggiarsi agli astensionisti, se si voleva creare il nucleo fondamentale del futuro partito", egli valutava che "senza gli astensionisti, il Partito Comunista non si poteva costruire".
Gramsci, come Lenin, aveva criticato la posizione degli astensionisti, ne aveva sottolineato i limiti e gli errori ma, per costruire il Partito, tale dissenso diventava secondario; così Lenin, attaccando i massimalisti e la loro scelta di stare nel Psi, dirà che essi si sarebbero dovuti unire ai comunisti per costruire il Partito "anche se questi non fossero stati dei veri comunisti, anche se fossero stati soltanto dei sostenitori di Bordiga".
Gramsci tornerà su quegli avvenimenti per sottolineare come "Tasca fu in disaccordo col gruppo de “L'Ordine Nuovo” perché vedeva il pericolo a sinistra; mentre noi, interpretando fedelmente la tattica dell'Internazionale, vedevamo il pericolo a destra e cercavamo di costruire una larga frazione di sinistra attraverso l'alleanza con i sinistri, il compagno Tasca si unì strettamente coi più screditati elementi riformisti e opportunisti"; "Palmi (Togliatti) deve ricordare come nell'agosto 1920 io mi sia staccato anche da lui e da Umberto (Terracini).
Allora ero io che volevo mantenere dei rapporti piuttosto colla sinistra che colla destra, mentre Palmi e Umberto avevano raggiunto Tasca, che si era staccato da noi fin dal gennaio".
Si realizzava così la manovra dei riformisti tesa ad isolare Gramsci e a dimostrare la superiorità della direzione socialista che, alla lunga, finiva con l'aver ragione sul gruppo de "L’Ordine Nuovo"; le posizioni di destra espresse da Tasca ricevevano così l'avallo di Togliatti e Terracini e il gruppo “elezionista", collocandosi come ala del Psi, dava un'ulteriore copertura ai dirigenti opportunisti, permettendo loro di rifarsi una maschera rivoluzionaria.
Le posizioni degli "elezionisti" inasprivano inoltre l'estremismo del gruppo astensionista finendo di disgregare le forze comuniste proprio nel momento in cui era più che mai necessario unirle. La necessità di dare vita al Partito Comunista, diventata direttiva dell'Internazionale, subiva così un duro colpo a causa della sbandata di Togliatti e Terracini.
Già in questo dissenso fra Gramsci e Togliatti appare come la preoccupazione di Gramsci è quella di far vivere i principi nella pratica della lotta, di tenere fermi gli obiettivi rivoluzionari e operare perché essi si realizzino concretamente sul piano organizzativo e politico;
Togliatti invece non cerca la posizione storicamente giusta. Si è spesso contrabbandato la politica basata sui principi, che Gramsci porta avanti, come politica "astratta", per contrapporle la politica opportunista e priva di principi di Togliatti, presentata come "concreta". Ma già in questo episodio è contenuta la smentita ad una tale falsificazione togliattiana, al suo preteso "realismo" perché, anche agli effetti pratici, si rivelò realista la linea di Gramsci, dato che il Partito Comunista d'Italia fu fondato con gli astensionisti e non certo con i massimalisti. Gramsci tornerà presto su questo episodio individuando in esso l'origine delle debolezze iniziali del Pcd’I, Togliatti invece liquiderà tutto minimizzando con la giustificazione che "l’episodio era stato però di breve durata".
Ma la "durata" va però commisurata a quel periodo, al momento cruciale di una lotta decisiva, quando ogni giorno gli avvenimenti sollevavano problemi tali da imporre scelte rapide da cui sarebbe dipesa la storia futura. Nello scontro fra astensionisti ed “elezionisti” Gramsci prende una posizione autonoma, rifiutando i particolarismi degli uni e degli altri.
La lotta è per il Partito Comunista e, col gruppo "educazione comunista", egli ne costituisce la prima cellula, formata esclusivamente da operai.
Ben lungi dal rispondere ad astratte manie di educatore, o ad umori personali, come si è tentato di far intendere, il gruppo raccolto intorno a Gramsci afferma nel suo programma e lotta per attuare l'unità del Partito Comunista.
La situazione diventa sempre più pressante; dal 19 infatti i metallurgici attuano l'ostruzionismo, entrano in fabbrica ma non producono. Il padronato, imbaldanzito dalla vittoria ottenuta nell'aprile a Torìno, decide per le maniere forti e il 31, attua la serrata di tutte le fabbriche dei settore.

1920 Settembre Il primo del mese gli operai metallurgici di tutta Italia rispondono alla serrata con l'occupazione delle fabbriche.
La lotta scavalca ben presto le direttive e le previsioni dei vertici, estendendosi ad altre categorie e persino alle campagne del Meridione, propagandosi con una reazione a catena in tutto il Paese. La spinta operaia è per la rivoluzione, le fabbriche sono presidiate da picchetti armati e in tante fabbriche si costituiscono i Consigli come strumenti del governo proletario.
La stessa borghesia concepisce la lotta come lotta per il potere. Ancora una volta saranno le direzioni del Psi e della Cgl a pugnalare alla schiena la classe operaia.
Il 9-10 si riuniscono a Milano il Consiglio generale della Cgl e la direzione del Psi per decidere il da farsi: i dirigenti danno l'esatta misura del loro nullismo opportunista, oscillando da posizione di estrema "sinistra" al piú smaccato legalitarismo borghese.
I massimalisti propongono di generalizzare lo scontro e passare a forme insurrezionali di lotta, ma pretendono che a dirigere la rivoluzione siano i riformisti della Cgl, dato che - essi dicono - si tratta di una lotta sindacale. Si arriva all'assurdo di mettere ai voti la rivoluzione e, alla minaccia di dimissioni dei dirigenti confederali, i massimalisti sono presi dal panico e si accordano sul compromesso. La stessa Confederazione mentre cercava freneticamente un'intesa col governo per arrestare la lotta, arrivava a proporre al gruppo torinese di dare il via all'insurrezione, col chiaro intento provocatorio di arrestare il movimento mandando al massacro la sua punta più avanzata.
Quel convegno si concluderà con un accordo di vertice fra Psi e Cgl, accordo che preparerà il baratto e la liquidazione dello sciopero di settembre. Gramsci è instancabile nel corso delle lotte, ogni suo sforzo tenderà in questo periodo a convincere gli operai a potenziare e preparare l'armamento e l'organizzazione militare, tenterà in ogni modo di unire i comunisti più che mai dispersi e frantumati dagli scontri del mese precedente.
In lui, assieme alla massima esaltazione del movimento di massa, è presente la coscienza che ancora una volta, nell'esplodere della rivoluzione, è mancato al proletariato il suo stato maggiore, il suo Partito Comunista. Privo di una guida rivoluzionaria il proletariato esaurisce le sue energie ed è costretto a piegarsi.
Il dilemma "o dittatura operaia o dittatura reazionaria" era ormai sciolto a favore della borghesia.
Unire i sinceri rivoluzionari, riorganizzare l'esercito di classe, significava ora organizzare la ritirata col minimo delle perdite, salvare il salvabile dallo sfacelo generale a cui i dirigenti socialisti avevano portato il proletariato, e di far questo in mezzo all'infuriare della reazione aperta del fascismo che si andava affermando.

1920 Ottobre Si tiene a Milano un convegno che formula il programma della frazione comunista operante nel Psi. È il primo passo per la fondazione del partito. Il manifesto reca la firma di Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci, Francesco Misiano, Polano, Umberto Terracini.
Manca l'adesione di Palmiro Togliatti che, dopo le vicende di agosto, è segretario della sezione socialista torinese e candidato nelle elezioni amministrative.

1920 Novembre Si tiene a Torino l'assemblea della sezione socialista per decidere la posizione da prendere nell'imminente congresso nazionale dei Psi.
È presente Giacinto Menotti Serrati per i massimalisti, mentre le posizioni comuniste verranno sostenute da Gramsci. Terracini, che gli si è ravvicinato, e Parodi.
La mozione comunista ottiene 249 voti, i massimalisti ottengono 49 voti e solo un voto va ai riformisti.
Togliatti tenta ancora di mediare lo scontro e continua a mantenere la sua posizione di osservatore preoccupato della rottura ormai inevitabile.
Col Convegno di Imola del 28-29 si costituisce ufficialmente la frazione comunista e i delegati di tutta Italia fanno proprie le posizioni espresse dal programma formulato a Milano nel mese precedente. Le forze eterogenee confluite ad Imola rischiano di disgregarsi in vane polemiche, anche necessarie in un primo incontro di tale portata. Sarà decisivo l'apporto di Gramsci per mantenere l'unità e realizzare gli obiettivi: "Siamo venuti qui con l'animo di chi viene ad una costituente di partito: dobbiamo costituire il partito che ci siamo proposti di formare, e non metterci a disputare fra di noi", dice Gramsci nel suo intervento e, sulla volontà comune di formare il Partito Comunista d'Italia (Sezione dell'Internazionale Comunista), la compagine di Imola si muove decisamente.

1920 Dicembre Gramsci dedica ogni energia al rafforzamento della frazione comunista, concepita "come un partito vero e proprio, come la solida impalcatura del Partito Comunista italiano" e la sua attenzione è tesa a convincere i titubanti e i disillusi, quegli operai che si erano battuti con tanto eroismo e che, con immensa amarezza, avevano visto vanificare i loro sforzi dai dirigenti traditori.
La posizione di Gramsci sugli avvenimenti di questi due anni diventerà patrimonio di tutto il Partito solo più tardi, nelle tesi di Lione, dove si affermerà categoricamente: "gli operai italiani hanno appreso dalla loro esperienza (1919-20) che ove manchi la guida di un Partito Comunista costituito come partito della classe operaia e come partito della rivoluzione, non è possibile un esito vittorioso della lotta per l'abbattimento dei regime capitalistico".
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