Anna Finocchiaro riflessioni sulla Costituzione
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni personali, di natura schiettamente politica, sulla Costituzione. Lo farò sulla scorta della quasi quarantennale esperienza, a diverso titolo, nelle istituzioni repubblicane.
Sul contenuto materiale della nostra Carta, sui suoi lavori preparatori, sulla giurisprudenza costituzionale, sugli approfondimenti di carattere scientifico ciascuno di voi, di noi, ha possibilità di consultare testi, di frequentare biblioteche o di esaudire online le proprie curiosità.
Ma a me pare che che possa essere interessante, in questo incerto volgere di tempo, riflettere su come la Costituzione oggi venga avvertita , e parli, alla comunità dei cittadini , quali effetti ( talora inconsapevoli ) produca nell'agire del Paese ed in quello dei singoli, come la sapienza della sua visione manifesti imprevisti e modernissimi effetti, pienamente coerenti con quella visione originaria , e riflettere anche sulle traversie che ci hanno consegnato definitivi arresti nell'opera di riforma della sua seconda parte.
Comincerei con questo assunto : oggi la Costituzione è "popolare".
Mi/ci capita sempre più spesso, anche in semplici conversari privati, di ascoltare il giudizio " ma questo è incostituzionale!", normalmente riferito ad una situazione che ci tocca e che avvertiamo come ingiusta per noi .
Sul contenuto materiale della nostra Carta, sui suoi lavori preparatori, sulla giurisprudenza costituzionale, sugli approfondimenti di carattere scientifico ciascuno di voi, di noi, ha possibilità di consultare testi, di frequentare biblioteche o di esaudire online le proprie curiosità.
Ma a me pare che che possa essere interessante, in questo incerto volgere di tempo, riflettere su come la Costituzione oggi venga avvertita , e parli, alla comunità dei cittadini , quali effetti ( talora inconsapevoli ) produca nell'agire del Paese ed in quello dei singoli, come la sapienza della sua visione manifesti imprevisti e modernissimi effetti, pienamente coerenti con quella visione originaria , e riflettere anche sulle traversie che ci hanno consegnato definitivi arresti nell'opera di riforma della sua seconda parte.
Comincerei con questo assunto : oggi la Costituzione è "popolare".
Mi/ci capita sempre più spesso, anche in semplici conversari privati, di ascoltare il giudizio " ma questo è incostituzionale!", normalmente riferito ad una situazione che ci tocca e che avvertiamo come ingiusta per noi .
Giusto o sbagliato che sia quel giudizio, consapevole o inconsapevole che sia rispetto alla stessa lettera della Costituzione piuttosto che alla giurisprudenza costituzionale in materia, quel giudizio esprime innanzitutto due sentimenti (torno con un termine atecnico, ma così attinente a qualunque esperienza umana): non sono solo è il primo ( ci sarà un giudice a Berlino per me, avrebbe detto Brecht) e posso confidare in una regola suprema che è solenne è impegnativa, e il secondo, più interessante, consiste nel confidare che ciò si avverte come ingiusto per sè non può che essere ingiusto toutcourt e che della giustizia (in termini di rispetto del proprio diritto) è garante la Costituzione.
Insisto: non è in questione il merito di ciascuna vicenda, la reale costituzionalità o incostituzionalità di una norma, il torto o la ragione, bensì il riconoscere che esiste un luogo, la Costituzione appunto, che è orientata certamente (ed esclusivamente, direi) dal principio di giustizia.
Per quanto settant'anni ci separino dall'entrata in vigore della Carta questa promettente "rivelazione " conserva dunque tutto il suo fascino.
Ma pensate cosa furono i primi anni di vigenza, quale effetto essa potesse produrre, con gradualità e crescente dimestichezza con il corredo, soprattutto di diritti , che la Costituzione riconosceva e prometteva dunque a moltitudini vissute e cresciute sotto il fascismo .
Uso un esempio : nel 1953 mio padre fu assegnato come pretore alla Pretura di Grammichele, un centro agricolo della Piana di Catania.
Aveva trent'anni, era tornato vivo dalla guerra, era cresciuto in una famiglia di intellettuali fieramente antifascista che finanziava il PCI clandestino, ma era vissuto nell'Italia fascista.
Aveva due strumenti di lavoro: il codice penale Rocco e la Costituzione .
C'era stata un'occupazione di terre da parte dei contadini locali. La loro fame e la loro miseria, e lo stato di sfruttamento di quel tempo non possiamo , neanche a stento, immaginarli.
Erano imputati del reato di occupazione abusiva di terre. Niente da fare sul fatto: era lì, inoppugnabile. Quel giovane pretore li assolse, con una motivazione del tipo : hanno agito in stato di necessità e non possono che essere assolti in nome della Costituzione: art 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Non so se quella motivazione resse alla prova d'appello. So quello che mio padre mi disse : " tu non hai idea di cosa abbia significato per noi giovani magistrati cresciuti durante il fascismo avere tra le mani , come legge suprema, la Costituzione."
Dovremmo riflettere come essa, in ogni sua parte, dai principi fondamentali alla seconda parte, rappresentasse una magnifica eresia.
Non soltanto con riguardo al fascismo, ma con riguardo a quelli che sino a quel momento erano, e sarebbero ancora stati per qualche tempo, assetti sociali, economici, culturali , istituzionali, politici.
Una magnifica eresia. Essa oggi viene avvertita come pane quotidiano diremmo, da chi la invoca, anche a sproposito, anche egoisticamente, ma non ha dubbi nel confermarla "giusta", direi " nel sentirla dalla propria parte".
Certo a questo sentimento è spesso estraneo quello che è uno degli straordinari pregi del testo costituzionale e, successivamente, della giurisprudenza della Corte: il bilanciamento tra diritti e valori , la corrispondenza tra diritti e doveri .
Così l'iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà , alla dignità umana; la libertà personale è inviolabile ma può essere limitata per provvedimento motivato dell'A.G. nei casi previsti dalla legge, e così per l'inviolabilità del domicilio ; la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i LIMITI al fine di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti . . . .
In uno scritto di qualche anno fa la professoressa Cartabia , oggi giudice costituzionale, in un bell'articolo scientifico dedicato ai c.d nuovi diritti metteva in evidenza che essi sono di natura normalmente giurisprudenziale e che ció comporta che oggetto della controversia sia " la pretesa" di riconoscimento di quel diritto fuori da un quadro di bilanciamento di esso con eventuali altri interessi o diritti concorrenti , che sono estranei all'oggetto della decisione e che vengono lasciati " fuori dalla porta ".
In questo senso , e senza nulla togliere al valore di una giurisprudenza tanto spesso assai avanti al lavoro del legislatore ( si pensi alla giurisprudenza dei tribunali civili in materia dei c.d. diritti personalissimi ) la Costituzione si conferma ( e questo è il secondo assunto) come " il luogo dell'equilibrio ".
Comunemente il lavoro dei costituenti viene apprezzato nel suo essere stato opera di sintesi tra culture politiche diverse , e ciascuno di noi rintraccia i segni di questa sintesi nel testo costituzionale , ma io vorrei sottolineare che essa appare, ancora oggi, non solo il frutto di una capacità politica di giungere al più alto dei "compromessi ", forse irripetibile, ma il migliore " fermo immagine " di quello che era il pensiero e il sentire comune, o potenzialmente comunque condivisibile,di un popolo intero. Questa è la forza della buona legge, questa è davvero la condizione per cui la Costituzione può qualificarsi come " contratto sociale". La Costituzione é inesauribile.
E ciò che ci interessa oggi è capire se davvero così venga sentita dai cittadini, se cioè venga avvertita la "potenza" della prescrizione costituzionale specie con riguardo ai diritti di uguaglianza e di libertà.
Una "potenza" che i costituenti predissero ( il termine è letterario, ma mi pare descriva ) nel momento in cui votarono l'art 3 :
" Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (!) e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali " e aggiunsero "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettivo partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese."
Sta in questa formulazione la "potenza " di cui parlavo prima e la sua ineusaribilità
Pensiamo a quanto quella promessa di uguaglianza venga e sia stata invocata , ben oltre la stessa previsione e addirittura immaginazione dei costituenti da ultimo con riguardo ai diritti delle coppie omosessuali . Ma ancora riflettendo su questa ineusaribile potenza, pensiamo ancora cosa la giurisprudenza costituzionale sia riuscita a produrre in termini di protezione del diritto alla tutela dell'ambiente sia pure con un testo che non contiene la parola " ambiente " ( la attenzione ambientalista non era , diremmo con una metafora, nella cassetta degli attrezzi delle culture politiche dei costituenti ), ma giovandosi della previsione dell'art.32 e dei limiti posti alla libertà d'impresa e al principio proprietario. Ebbene io credo, rileggendo il dibattito pubblico che ha assistito l'introduzione nel nostro sistema dellle unioni civili ........
La Costituzione non è strabica . Per quanto questo assunto appaia irriverente, a me serve per sottolineare che la coerenza del dettato costituzionale integralmente assunto è una delle ragioni, determinante, per confidare sulla sua forza.
La Costituzione non può dunque che essere apprezzata, e accettata che considerandola come un sistema coerente, segnato da precise scelte politiche e culturali ,molto rigorose. Questo sistema orienta ( ha orientato e dovrebbe continuare ad orientare ) i progressi del nostro Paese in un cammino che non dovrebbe conoscere ne' stanchezza ne' cedimenti.
Insomma, la Costituzione non è uno scaffale dal quale saccheggiare ciò che ci torna utile lasciando che il resto marcisca, pena la sua irrilevanza .
Lo dico perché mi pare che nel dibattito pubblico emergano posizioni che magari riscuotono successo, ma che si fondano su di un suo uso " take away" .
La osservazione più ovvia al proposito è che se c'è, e c'è, un sentimento positivo nel confidare nella Costituzione come garante dei diritti di ciascuna e di ciascun cittadino essa esige ( la Costituzione è esigente ) che tale diritto venga letto, e agito, nella trama di diritti e doveri, libertà e suoi limiti , di cui consiste.
Questa premessa mi serve per richiamare l'attenzione su alcuni assunti che rischiano di diventare luoghi comuni, e che , a mio parere, configurano un " abuso" nella lettura dei principi costituzionali.
Uno dei casi più interessanti di questo " abuso" è, a mio avviso, rintracciabile nella discussione che, dentro e fuori le aule parlamentari, si è articolata sul tema della rappresentanza.
Lo affronto anche sulla scorta del rilievo che questo tema ha avuto nel corso della discussione sulla riforma della seconda parte della Costituzione e delle vistose contraddizioni che, proprio sul punto, hanno caratterizzato le tesi di chi a quella riforma si è opposto.
Trascuro le affermazioni, ahimè sloganistiche, ma a quanto pare di indubbia efficacia quanto al risultato referendario, che attribuivano ai sostenitori della riforma la volontà di distruggere " la Costituzione più bella del mondo" così prospettando agli elettori proprio il tramonto di quella speranza che, come ho detto all' inizio, gli italiani e le italiane affidano alla Carta.
Veniva , infatti, strumentalmente omesso che oggetto della riforma non era certamente la prima parte della Carta, e dunque nè i principi fondamentali, nè i diritti e doveri dei cittadini ( articolati con riguardo ai rapporti civili, etico-sociali, economici e politici ).
Che questa prima parte sia assolutamente preziosa era e resta assolutamente condiviso.
Casomai, è proprio in ragione di quella ineusaribilitá di cui parlavo prima , essa potrebbe essere ulteriormente arricchita come è per esempio già stato fatto con l'art 51 con riferimento alle pari opportunità di accesso per gli uffici pubblici e le cariche elettive.
O penso, per fare un esempio caro a una parte dei detrattori di ogni modifica della Carta, al fatto che proprio da loro è venuta una proposta, molto interessante, volta ad introdurre nella prima parte di essa un diritto sociale all'accesso ad internet .
Potrei continuare. Ma torniamo al punto della rappresentanza.
La principale critica che si muoveva alla riforma del Senato consisteva nell'accusa di un attacco insopportabile al principio di rappresentanza.
Tale accusa, rivolta originariamente nei confronti del fatto che che il Senato sarebbe stato eletto in secondo grado, è rimasta identica anche quando si è restaurata , su emendamento della minoranza del pd accolto da relatrice e governo, la elezione diretta dei rappresentanti delle istituzioni locali sia pure in occasione del rinnovo degli organi regionali.
Ma ciò che si manifestava ( in affermazioni del tutto sganciate dal testo) era un "sentimento " di attaccamento al principio di rappresentanza così come lo abbiamo sinora conosciuto, per cui, sia pure con i limiti di età e di sistema elettorale " a base regionale " dice la Costituzione, il Senato viene eletto da tutti i cittadini svincolato da ogni rappresentanza delle istituzioni locali ( Regioni e Comuni ).
La questione è interessante. Sarebbe facile replicare che l'ipotesi di un Senato rappresentante delle istituzioni locali fu molto autorevolmente preso in considerazione nella discussione in Assemblea Costituente, e dunque non presentava caratteri di "eversione "; o che , con la elezione diretta dei presidenti di regioni e sindaci e la riforma del titolo V è completamente mutato l' assetto dei poteri legislativi e di governo e la stessa "forza politica " di quelle istituzioni, e che dunque la rappresentanza degli interessi locali , nel quadro mutato, avrebbe arricchito, piuttosto che deprimere, il principio di rappresentanza, tanto più che , per esempio al Senato veniva attribuita una competenza di valutazione e di valutazione d' impatto delle politiche europee sui diversi ( talvolta tanto diversi) territori , così enfatizzando il potere di intercettare decisioni che vengono talora avvertite come distanti e subìte ( TEMA DI INDUBBIA ATTUALITÀ POLITICA ); o che, infine, all'indomani dell'entrata in vigore , lo stesso Mortati si interrogasse su " l'inutile doppione" rappresentato dal Senato previsto nella Carta.
Ma questo non vale a dare conto di quel confuso sentimento di "espropriazione della rappresentanza" che ha percorso l'iter di approvazione della riforma sino all'esito referendario. È invece è di questo che voglio parlare, perché mi sembra essere, da una parte, un tema di primo rilievo politico, dall'altro un campo nel quale più vistosamente si segnala ciò che ho definito un abuso della Costituzione.
Mi pare infatti che quel sentimento di così forte attaccamento al principio della rappresentanza , che condannò ogni ipotesi di differenziare il bicameralismo perfetto ( che, voglio ricordarlo, nel mondo delle democrazie occidentali esiste SOLO in Italia, nè in Francia, nè in Germania, nè in Austria ..... ed è in fase di sparizione anche in Giappone ) fosse fondato su un " sentimento " ( torno ad adoperare questo termine), e su un fraintendimento.
Il sentimento era quello di chi , diffidando delle istituzioni, scegliesse comunque di mantenere le camere rappresentanti della generalità dei cittadini , perché ciò era - nel sistema dato - il modo migliore per ciascuno di " contare " nelle scelte che le camere e il governo si trovassero ad affrontare. Ovviamente a ciò corrispondeva la richiesta di un sistema elettorale puramente proporzionale, venendo nel contempo a tramontare ogni aspirazione all'obiettivo della stabilità dei governi ( che pure la Corte ha definito principio costituzionalmente orientato).
Ma ciò che oggi mi allarma è che il sentimento di cui parlavo era fondato su un fraintendimento, un errore, quello cioè che non la democrazia rappresentativa, nella sua - potremmo dire - migliore qualità, fosse l' obiettivo da perseguire , bensì la democrazia diretta.
In un parossismo che, estraneo alla logica ed allo spirito costituzionale, fa oggi affermare ad autorevoli esponenti della scena politica che il fine è l'abolizione del Parlamento, sostituito da una diuturna consultazione online cui ciascun cittadino sarebbe chiamato.
Questa posizione,secondo i suoi sostenitori, troverebbe sostegno e base giuridica nel' art 1, secondo comma della Costituzione che recita "la sovranità appartiene al popolo " .
Ecco un luminoso esempio di saccheggio costituzionale, quello che ho definito il "take away" della Carta.
Non solo perché il secondo comma dell'art 1, letto per intero, afferma " La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ", ma anche perché , e appunto, il sistema delle forme e dei limiti citati dall'articolo 1 attiene alla scelta FONDAMENTALE operata dei costituenti nella costruzione della repubblica , e cioè che il sistema italiano fosse quello parlamentare.
Queste mie osservazioni non devono però tacere di una questione politica che vive nella percezione di molti italiani ed italiane , e cioè quella di un'avvertita distanza nei confronti della politica e anche delle istituzioni, in una "cittadinanza solitaria e impotente " che fa avvertire confusamente, talora scompostamente, che solo il poter contare individualmente, il far conto solo su di sè, può aiutare a farsi valere. È una illusione, per chi sappia un po' di storia, e può portare il Paese a tragiche derive. Ma occorre farci i conti, con tenacia e sacrificio, scartando gli alibi, onorando l'eredità dei costituenti.
Dicevo prima del fatto che la Costituzione abbia rappresentato, all' indomani del fascismo e della guerra di Liberazione, una magnifica eresia . È ancora vero e in un tempo di incerte zoppicanti e confuse e pericolose eresie è l'ortodossia dell'eresia costituzionale che può, ancora una volta, esserci di guida.
Insisto: non è in questione il merito di ciascuna vicenda, la reale costituzionalità o incostituzionalità di una norma, il torto o la ragione, bensì il riconoscere che esiste un luogo, la Costituzione appunto, che è orientata certamente (ed esclusivamente, direi) dal principio di giustizia.
Per quanto settant'anni ci separino dall'entrata in vigore della Carta questa promettente "rivelazione " conserva dunque tutto il suo fascino.
Ma pensate cosa furono i primi anni di vigenza, quale effetto essa potesse produrre, con gradualità e crescente dimestichezza con il corredo, soprattutto di diritti , che la Costituzione riconosceva e prometteva dunque a moltitudini vissute e cresciute sotto il fascismo .
Uso un esempio : nel 1953 mio padre fu assegnato come pretore alla Pretura di Grammichele, un centro agricolo della Piana di Catania.
Aveva trent'anni, era tornato vivo dalla guerra, era cresciuto in una famiglia di intellettuali fieramente antifascista che finanziava il PCI clandestino, ma era vissuto nell'Italia fascista.
Aveva due strumenti di lavoro: il codice penale Rocco e la Costituzione .
C'era stata un'occupazione di terre da parte dei contadini locali. La loro fame e la loro miseria, e lo stato di sfruttamento di quel tempo non possiamo , neanche a stento, immaginarli.
Erano imputati del reato di occupazione abusiva di terre. Niente da fare sul fatto: era lì, inoppugnabile. Quel giovane pretore li assolse, con una motivazione del tipo : hanno agito in stato di necessità e non possono che essere assolti in nome della Costituzione: art 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Non so se quella motivazione resse alla prova d'appello. So quello che mio padre mi disse : " tu non hai idea di cosa abbia significato per noi giovani magistrati cresciuti durante il fascismo avere tra le mani , come legge suprema, la Costituzione."
Dovremmo riflettere come essa, in ogni sua parte, dai principi fondamentali alla seconda parte, rappresentasse una magnifica eresia.
Non soltanto con riguardo al fascismo, ma con riguardo a quelli che sino a quel momento erano, e sarebbero ancora stati per qualche tempo, assetti sociali, economici, culturali , istituzionali, politici.
Una magnifica eresia. Essa oggi viene avvertita come pane quotidiano diremmo, da chi la invoca, anche a sproposito, anche egoisticamente, ma non ha dubbi nel confermarla "giusta", direi " nel sentirla dalla propria parte".
Certo a questo sentimento è spesso estraneo quello che è uno degli straordinari pregi del testo costituzionale e, successivamente, della giurisprudenza della Corte: il bilanciamento tra diritti e valori , la corrispondenza tra diritti e doveri .
Così l'iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà , alla dignità umana; la libertà personale è inviolabile ma può essere limitata per provvedimento motivato dell'A.G. nei casi previsti dalla legge, e così per l'inviolabilità del domicilio ; la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i LIMITI al fine di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti . . . .
In uno scritto di qualche anno fa la professoressa Cartabia , oggi giudice costituzionale, in un bell'articolo scientifico dedicato ai c.d nuovi diritti metteva in evidenza che essi sono di natura normalmente giurisprudenziale e che ció comporta che oggetto della controversia sia " la pretesa" di riconoscimento di quel diritto fuori da un quadro di bilanciamento di esso con eventuali altri interessi o diritti concorrenti , che sono estranei all'oggetto della decisione e che vengono lasciati " fuori dalla porta ".
In questo senso , e senza nulla togliere al valore di una giurisprudenza tanto spesso assai avanti al lavoro del legislatore ( si pensi alla giurisprudenza dei tribunali civili in materia dei c.d. diritti personalissimi ) la Costituzione si conferma ( e questo è il secondo assunto) come " il luogo dell'equilibrio ".
Comunemente il lavoro dei costituenti viene apprezzato nel suo essere stato opera di sintesi tra culture politiche diverse , e ciascuno di noi rintraccia i segni di questa sintesi nel testo costituzionale , ma io vorrei sottolineare che essa appare, ancora oggi, non solo il frutto di una capacità politica di giungere al più alto dei "compromessi ", forse irripetibile, ma il migliore " fermo immagine " di quello che era il pensiero e il sentire comune, o potenzialmente comunque condivisibile,di un popolo intero. Questa è la forza della buona legge, questa è davvero la condizione per cui la Costituzione può qualificarsi come " contratto sociale". La Costituzione é inesauribile.
E ciò che ci interessa oggi è capire se davvero così venga sentita dai cittadini, se cioè venga avvertita la "potenza" della prescrizione costituzionale specie con riguardo ai diritti di uguaglianza e di libertà.
Una "potenza" che i costituenti predissero ( il termine è letterario, ma mi pare descriva ) nel momento in cui votarono l'art 3 :
" Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (!) e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali " e aggiunsero "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettivo partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese."
Sta in questa formulazione la "potenza " di cui parlavo prima e la sua ineusaribilità
Pensiamo a quanto quella promessa di uguaglianza venga e sia stata invocata , ben oltre la stessa previsione e addirittura immaginazione dei costituenti da ultimo con riguardo ai diritti delle coppie omosessuali . Ma ancora riflettendo su questa ineusaribile potenza, pensiamo ancora cosa la giurisprudenza costituzionale sia riuscita a produrre in termini di protezione del diritto alla tutela dell'ambiente sia pure con un testo che non contiene la parola " ambiente " ( la attenzione ambientalista non era , diremmo con una metafora, nella cassetta degli attrezzi delle culture politiche dei costituenti ), ma giovandosi della previsione dell'art.32 e dei limiti posti alla libertà d'impresa e al principio proprietario. Ebbene io credo, rileggendo il dibattito pubblico che ha assistito l'introduzione nel nostro sistema dellle unioni civili ........
La Costituzione non è strabica . Per quanto questo assunto appaia irriverente, a me serve per sottolineare che la coerenza del dettato costituzionale integralmente assunto è una delle ragioni, determinante, per confidare sulla sua forza.
La Costituzione non può dunque che essere apprezzata, e accettata che considerandola come un sistema coerente, segnato da precise scelte politiche e culturali ,molto rigorose. Questo sistema orienta ( ha orientato e dovrebbe continuare ad orientare ) i progressi del nostro Paese in un cammino che non dovrebbe conoscere ne' stanchezza ne' cedimenti.
Insomma, la Costituzione non è uno scaffale dal quale saccheggiare ciò che ci torna utile lasciando che il resto marcisca, pena la sua irrilevanza .
Lo dico perché mi pare che nel dibattito pubblico emergano posizioni che magari riscuotono successo, ma che si fondano su di un suo uso " take away" .
La osservazione più ovvia al proposito è che se c'è, e c'è, un sentimento positivo nel confidare nella Costituzione come garante dei diritti di ciascuna e di ciascun cittadino essa esige ( la Costituzione è esigente ) che tale diritto venga letto, e agito, nella trama di diritti e doveri, libertà e suoi limiti , di cui consiste.
Questa premessa mi serve per richiamare l'attenzione su alcuni assunti che rischiano di diventare luoghi comuni, e che , a mio parere, configurano un " abuso" nella lettura dei principi costituzionali.
Uno dei casi più interessanti di questo " abuso" è, a mio avviso, rintracciabile nella discussione che, dentro e fuori le aule parlamentari, si è articolata sul tema della rappresentanza.
Lo affronto anche sulla scorta del rilievo che questo tema ha avuto nel corso della discussione sulla riforma della seconda parte della Costituzione e delle vistose contraddizioni che, proprio sul punto, hanno caratterizzato le tesi di chi a quella riforma si è opposto.
Trascuro le affermazioni, ahimè sloganistiche, ma a quanto pare di indubbia efficacia quanto al risultato referendario, che attribuivano ai sostenitori della riforma la volontà di distruggere " la Costituzione più bella del mondo" così prospettando agli elettori proprio il tramonto di quella speranza che, come ho detto all' inizio, gli italiani e le italiane affidano alla Carta.
Veniva , infatti, strumentalmente omesso che oggetto della riforma non era certamente la prima parte della Carta, e dunque nè i principi fondamentali, nè i diritti e doveri dei cittadini ( articolati con riguardo ai rapporti civili, etico-sociali, economici e politici ).
Che questa prima parte sia assolutamente preziosa era e resta assolutamente condiviso.
Casomai, è proprio in ragione di quella ineusaribilitá di cui parlavo prima , essa potrebbe essere ulteriormente arricchita come è per esempio già stato fatto con l'art 51 con riferimento alle pari opportunità di accesso per gli uffici pubblici e le cariche elettive.
O penso, per fare un esempio caro a una parte dei detrattori di ogni modifica della Carta, al fatto che proprio da loro è venuta una proposta, molto interessante, volta ad introdurre nella prima parte di essa un diritto sociale all'accesso ad internet .
Potrei continuare. Ma torniamo al punto della rappresentanza.
La principale critica che si muoveva alla riforma del Senato consisteva nell'accusa di un attacco insopportabile al principio di rappresentanza.
Tale accusa, rivolta originariamente nei confronti del fatto che che il Senato sarebbe stato eletto in secondo grado, è rimasta identica anche quando si è restaurata , su emendamento della minoranza del pd accolto da relatrice e governo, la elezione diretta dei rappresentanti delle istituzioni locali sia pure in occasione del rinnovo degli organi regionali.
Ma ciò che si manifestava ( in affermazioni del tutto sganciate dal testo) era un "sentimento " di attaccamento al principio di rappresentanza così come lo abbiamo sinora conosciuto, per cui, sia pure con i limiti di età e di sistema elettorale " a base regionale " dice la Costituzione, il Senato viene eletto da tutti i cittadini svincolato da ogni rappresentanza delle istituzioni locali ( Regioni e Comuni ).
La questione è interessante. Sarebbe facile replicare che l'ipotesi di un Senato rappresentante delle istituzioni locali fu molto autorevolmente preso in considerazione nella discussione in Assemblea Costituente, e dunque non presentava caratteri di "eversione "; o che , con la elezione diretta dei presidenti di regioni e sindaci e la riforma del titolo V è completamente mutato l' assetto dei poteri legislativi e di governo e la stessa "forza politica " di quelle istituzioni, e che dunque la rappresentanza degli interessi locali , nel quadro mutato, avrebbe arricchito, piuttosto che deprimere, il principio di rappresentanza, tanto più che , per esempio al Senato veniva attribuita una competenza di valutazione e di valutazione d' impatto delle politiche europee sui diversi ( talvolta tanto diversi) territori , così enfatizzando il potere di intercettare decisioni che vengono talora avvertite come distanti e subìte ( TEMA DI INDUBBIA ATTUALITÀ POLITICA ); o che, infine, all'indomani dell'entrata in vigore , lo stesso Mortati si interrogasse su " l'inutile doppione" rappresentato dal Senato previsto nella Carta.
Ma questo non vale a dare conto di quel confuso sentimento di "espropriazione della rappresentanza" che ha percorso l'iter di approvazione della riforma sino all'esito referendario. È invece è di questo che voglio parlare, perché mi sembra essere, da una parte, un tema di primo rilievo politico, dall'altro un campo nel quale più vistosamente si segnala ciò che ho definito un abuso della Costituzione.
Mi pare infatti che quel sentimento di così forte attaccamento al principio della rappresentanza , che condannò ogni ipotesi di differenziare il bicameralismo perfetto ( che, voglio ricordarlo, nel mondo delle democrazie occidentali esiste SOLO in Italia, nè in Francia, nè in Germania, nè in Austria ..... ed è in fase di sparizione anche in Giappone ) fosse fondato su un " sentimento " ( torno ad adoperare questo termine), e su un fraintendimento.
Il sentimento era quello di chi , diffidando delle istituzioni, scegliesse comunque di mantenere le camere rappresentanti della generalità dei cittadini , perché ciò era - nel sistema dato - il modo migliore per ciascuno di " contare " nelle scelte che le camere e il governo si trovassero ad affrontare. Ovviamente a ciò corrispondeva la richiesta di un sistema elettorale puramente proporzionale, venendo nel contempo a tramontare ogni aspirazione all'obiettivo della stabilità dei governi ( che pure la Corte ha definito principio costituzionalmente orientato).
Ma ciò che oggi mi allarma è che il sentimento di cui parlavo era fondato su un fraintendimento, un errore, quello cioè che non la democrazia rappresentativa, nella sua - potremmo dire - migliore qualità, fosse l' obiettivo da perseguire , bensì la democrazia diretta.
In un parossismo che, estraneo alla logica ed allo spirito costituzionale, fa oggi affermare ad autorevoli esponenti della scena politica che il fine è l'abolizione del Parlamento, sostituito da una diuturna consultazione online cui ciascun cittadino sarebbe chiamato.
Questa posizione,secondo i suoi sostenitori, troverebbe sostegno e base giuridica nel' art 1, secondo comma della Costituzione che recita "la sovranità appartiene al popolo " .
Ecco un luminoso esempio di saccheggio costituzionale, quello che ho definito il "take away" della Carta.
Non solo perché il secondo comma dell'art 1, letto per intero, afferma " La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ", ma anche perché , e appunto, il sistema delle forme e dei limiti citati dall'articolo 1 attiene alla scelta FONDAMENTALE operata dei costituenti nella costruzione della repubblica , e cioè che il sistema italiano fosse quello parlamentare.
Queste mie osservazioni non devono però tacere di una questione politica che vive nella percezione di molti italiani ed italiane , e cioè quella di un'avvertita distanza nei confronti della politica e anche delle istituzioni, in una "cittadinanza solitaria e impotente " che fa avvertire confusamente, talora scompostamente, che solo il poter contare individualmente, il far conto solo su di sè, può aiutare a farsi valere. È una illusione, per chi sappia un po' di storia, e può portare il Paese a tragiche derive. Ma occorre farci i conti, con tenacia e sacrificio, scartando gli alibi, onorando l'eredità dei costituenti.
Dicevo prima del fatto che la Costituzione abbia rappresentato, all' indomani del fascismo e della guerra di Liberazione, una magnifica eresia . È ancora vero e in un tempo di incerte zoppicanti e confuse e pericolose eresie è l'ortodossia dell'eresia costituzionale che può, ancora una volta, esserci di guida.