Intervista su L’Unità, di Alfredo Reichlin, 7 dicembre 1980
La proposta politica avanzata dalla nostra Direzione ha suscitato una forte impressione. Si è aperto un dibattito appassionato: da tempo non si vedevano assemblee di partito tanto affollate. La novità c’è ed è naturale che, al di là delle reazioni ostili degli avversari (anche qui colpisce un senso diffuso di riflessione e di prudenza) si registrino dubbi e interrogativi. Che cosa ha spinto il Partito comunista a proporsi come perno e punto di raccolta di un largo schieramento di forze che rappresenti una reale alternativa democratica a una DC che non appare più in grado di assicurare quella guida politica e morale di cui c’è un bisogno estremo, vitale? E perché questa iniziativa viene proprio ora? Credo si avverta che la novità della proposta consiste anche nel fatto che non si tratta dell’invenzione di una nuova formula parlamentare, di una qualche alchimia. Si sente che è nuovo, e più largo, l’orizzonte in cui ci muoviamo. Che in sostanza ci proponiamo di affrontare il problema del ricambio, orami necessario, dei gruppi e delle classi dirigenti. E che – proprio per questo – la nostra è una proposta che si rivolge non solo alle forze politiche, ma al Paese per mobilitarlo, per organizzare una spinta di massa, una corrente di opinione. Ma credo anche che restino molti dubbi. Questa proposta è realistica? È credibile? Dove stanno i suoi interlocutori? Andiamo a uno scontro frontale con tutta la DC e il mondo cattolico popolare? Non c’è il rischio, per il partito, di fughe in avanti e di rigurgiti settari? E poi la domanda su cui tanto si insiste, a volte con malizia, a volte con preoccupazione: si tratta di una svolta rispetto alla nostra strategia? Ho avuto così una lunga conversazione con Enrico Berlinguer che ho riassunto in una serie di domande e di risposte.
Intervista a l’Humanité, 25 marzo 1974
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