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È con grande piacere che ringrazio tutti per la generosità con cui è stata accolto l’invito a partecipare a questo incontro. Ringrazio i protagonisti e gli studiosi di un periodo storico importante ed entusiasmante della storia e della cultura del nostro paese. Un periodo in cui tra i personaggi che maggiormente hanno influenzato la cultura sociale e politica dell’Italia più di altri è stato Enrico Berlinguer.

Berlinguer ne è stato una delle colonne portanti, con la sua capacità di analisi e sintesi, con la sua visione lungimirante instancabile e mai dogmatica.
Ottiene l’investitura definitiva a segretario del PCI proprio qui a Milano al XIII Congresso del 1972,  al Palalido.
In quell’occasione spiega tra l’altro che “l’Italia è una democrazia debole che ha bisogno di un’alternativa condivisa e costruita dai grandi partiti di massa”.
Durante il congresso,  il confronto sulla  relazione di Berlinguer,  si spinge nell’affrontare i problemi posti, verso la possibilità di sviluppare la “ prospettiva politica di una nuova maggioranza”  capace di aprire un vasto processo politico e programmatico.

Si avvia un percorso che porterà poi con gli articoli di rinascita sul colpo di stato in Cile, al lancio nel 1973, del  compromesso storico.
Questo percorso in realtà inizia prima, con le elezioni nazionali del 1968 che sanciscono una nuova linea per il Partito Comunista, che torna ad avere un ruolo dominante sia in Parlamento che nella società.
Il carisma di Berlinguer e il successo politico esplode,   si diffonde dopo i fatti di Praga.

Il PCI condanna l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e respinge «il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni». Uno strappo senza precedenti.
Nel 1969 a Mosca, alla conferenza internazionale dei partiti comunisti, dichiara apertamente il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista.
Il percorso continua e si consolida con il grande successo elettorale, ottenuto dai comunisti italiani alle elezioni del 1975 e del 1976, con il quale si conferma l’intuizione di Berlinguer e sconvolge il sistema politico, ormai da anni afflitto da un’endemica instabilità e bloccato dalla DC che è al centro dei governi e delle maggioranze parlamentari. I tempi sembrano maturi per un cambiamento radicale della politica italiana. 

Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso storico, Berlinguer esplicita l’altro tema della sua politica di dirigente comunista: rompe con il Partito Comunista sovietico. 
A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l’autonomia del PCI dall’URSS e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. È l’eurocomunismo.

Con il compromesso storico e l’eurocomunismo, Berlinguer porta il PCI, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. 
Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla «non sfiducia», cioè sull’astensione dei vecchi partners di governo ai quali si aggiungono i comunisti. 
A sinistra, molti sottolineano che non è questo il fondamento del compromesso storico e che il PCI non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. 

Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruito il governo della solidarietà nazionale e gli chiede di agevolare l’entrata dei comunisti al governo. 
Ad opporsi sono in molti: la destra democristiana, il Vaticano, gli amici americani, la destra italiana. Il terrorismo miete vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro.
Durante gli anni del terrorismo rosso e nero, delle stragi, e durante la crisi petrolifera, Berlinguer sa avvicinare le anime e le culture popolari del Paese, riuscendo ad evitare una spaccatura irrimediabile.
É tuttavia la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer. Il PCI torna all’opposizione.

Nel 1981, in una storica intervista a Eugenio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. 
Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni, dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto della politica. 
È l’analisi di un grande leader politico.

Nel 1982, ancora al Palalido nel corso del XXII congresso Nazionale della FGCI parla ai giovani e il suo discorso rimarrà nella memoria collettiva e ancora oggi rappresenta un momento di riflessione alto e moderno.
Berlinguer torna a Milano nel 1983 per il sedicesimo congresso, dal titolo emblematico: Un’alternativa democratica per rinnovare l’Italia. Sono invitati e presenti molti personaggi della cultura e leader politici nazionali ed esteri.
Berlinguer nel 1984 ci lascia e la questione  dell’alternativa democratica, non trova gli spunti necessari per essere sviluppata.

Nel centenario della sua nascita a 38 anni dalla sua morte, Berlinguer è considerato l’ultimo vero leader del PCI.E risulta troppo scomodo per la politica dei giorni nostri confrontarsi con la sua statura politica, con la sua capacità di guardare al futuro ricercando un socialismo rinnovato, al passo coi tempi. I suoi pensieri, le sue idee, sulle diseguaglianze, sulla questione femminile e sul ruolo delle donne nella società, sull’Europa, sul Governo Mondiale, sulla politica ambientale, su quale futuro per il nostro paese e su un mondo che vive nella pace contro la guerra per una politica di disarmo sono ancora oggi attuali e dobbiamo avere il coraggio di metterle al centro del nostro dibattito, con un grande percorso di coinvolgimento del Paese guardando al futuro.



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